#in orario secondo google
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Al Verano ad aspettare il 71 per Tiburtina fumando una sigaretta: quattro anni di vita riassunti in un gesto
Che nostalgia
#e il 71 è persino in orario#in orario secondo google#perché a roma non esistono orari#chi non ha mai conosciuto l’atac non ha mai conosciuto un’esperienza umana unica#quattro anni di attese infinite e incerte#mailmiocuoredipietratremaancora#roma#rome#sapienza#university#memories#love#nostalgia#longing#throwback in time#rome italy#italy
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pollo a chi? ....;-)
apro e leggo.
Vado a verificare i link inclusi.
trovo un video dove nei primi 2 secondi si intravede del fumo in lontananza- e subito l'articolista trova STRANO che " ad un’ora o forse meno dall’attacco, ancora in attesa di ambulanze che soccorressero le mille e passa persone sotto le macerie, si fossero già organizzati" (eheheh) mentre NON E' STRANO CHE si concentra ad analizzare perché e percome ci sia il loco la bancarella di chikens ....americane (ovvio)
sotto un link (dei polli?) che vedo di aprire ma pare che non esista, questo:
il secondo link, questo
è esattamente uguale al primo: non aggiunge niente di nuovo...
Poi dice che se si fanno ricerche si SCOPRE che questo centro è CHIUSO DEFINITIVAMENTE e che non ci sono recensioni da quattro mesi (come se il fatto che non ci siano recensioni voglia, anzi, debba, dire qualcosa): vedete voi, dice, e apro il terzo link di Google Maps:
a fianco della mappa leggo:
Amstor
Амстор
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Riepilogo recensione
54321
e per finire, in fondo ma proprio in fondo TRE articoli di TRE giornali diversi:
Today.it - Agensir.it che riportano la conta -dice- accertata di 18 morti e 58 feriti + il Sole24ore che riporta un video ben diverso da quello con " le bancarelle del pollame".......alla faccia di Rossella Fidanza!
morale della favola: CHIUSO DEFINITIVAMENTE in questo pseudo scoop nce sta...fine....;-)
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Quel pinguino amato che pensa di avere il mondo
5 vittorie e 5 sconfitte dei primi trent'anni di Linux. Il sistema operativo open source ha cambiato per sempre internet e l'industria del software ma non è riuscito a vincere alcune delle sue sfide più importanti. Trent’anni fa, il 25 agosto del 1991, un giovane studente finlandese mandò una storica email a un gruppo di sviluppatori hobbysti intitolata “Cosa vi piacerebbe vedere di più in Minix?”. Il giovane studente era Linus Torvalds e quell’email è considerata l’atto di nascita di Linux, il sistema operativo open source che da piccolo hobby di un gruppo di giovanissimi hacker all’alba di internet è diventata l’architrave della rete e uno dei tre progetti open source più di successo al mondo oltre che uno dei più grandi. Infatti, il kernel di Linux, cioè il motore del sistema operativo (e la parte comune a tutte le varie distribuzioni gratuite disponibili) è diventato un progetto da poco più di 27.8 milioni di righe di codice, a cui contribuisce un’armata di 14mila sviluppatori sparsi in tutto il mondo.
La storica email di Linus Torvalds per presentare la sua versione di Minix. L’idea di chiamare il sistema operativo Linux non è stata sua ma di alcuni volontari. La scelta di Torvalds di sviluppare in maniera free, open e collaborativa il kernel di Linux ha consentito a un altro grande progetto open source, il sistema operativo Gnu, pensato da Richard Stallman ma che non riusciva a decollare, di trovare il suo motore e diventare un rimpiazzo gratuito per Unix, all’epoca “il” sistema operativo (a pagamento) usato sui server e nei centri di calcolo. Trent’anni dopo, però, cos’è successo? Si fa presto a dire che Linux ha vinto: in realtà ha anche perso alcune grandi battaglie. La sua valutazione di mercato era di 3,89 miliardi di dollari nel 2019 (secondo Fortune), il suo valore cresce del 19,2% all’anno (Cagr) e nel 2027 raggiungerò il traguardo dei 15,64 miliardi di dollari. Al tempo stesso, la sua quota di mercato nel settore desktop e portatili è attorno al 2,38%, il doppio di Chrome Os (che non sommiamo perché pur essendo basato su Linux ha uno strato proprietario di servizi di Google) ma molto sotto i due principali sistemi operativi “closed source”: Windows (73%)e macOs (15,4%). Insomma, dopo trent’anni Linux ha sicuramente vinto ai punti ma non per ko. Vediamo perché.
La mappa del kernel di Linux (fonte Wikipedia) Le 5 grandi vittorie 1 – Il sistema operativo più diffuso oltre al pc Linux ha sdoganato l’idea che possa esistere un sistema operativo open. Nel mondo del software questa è stata la seconda grande rivoluzione dopo quella di Microsoft degli anni Settanta (cioè che il software ha più valore dell’hardware). L’importanza di essere aperti fin nei dettagli (e non fornire solo delle Apie delle specifiche di sviluppo per le terze parti) è la ricetta segreta del successo di Linux e la cosa che gli ha permesso di essere estremamente efficace per la costruzione di strumenti sofisticatissimi. Non a caso Linux è la piattaforma standard per una marea di apparecchi e strumenti digitali oltre ai pc e ai server: dal router di casa all’auto della Tesla, dalla webcam alle fotocamere digitali. Il mondo dell’embedded è quasi totalmente Linux e questo è possibile perché tutti hanno potuto lavorare al suo sviluppo e verificare che funzioni. Oggi i grandi sviluppano linguaggi di programmazione (Go, Swift), framework, middleware open source per continuare a sfruttare il valore di essere open. L’apertura completa è la versione “fatta bene” della cosiddetta Api Economy, che invece si basa sul monopolio dei servizi esposti dai fornitori. 2 – Linux è Gnu L’idea del free software o del software open arriva prima di Linux: Richard Stallman è stato il suo ideologo ma non è riuscito a trasformarla in una proposizione vincente sul mercato. C’è riuscito Torvalds con Linux, che ha ridato vita al progetto Gnu di Stallman diventandone il motore e insieme ad Apache è il vero grande diffusore dell’idea del free software (ma non chiedetelo a Stallman perché lui vi dirà di no). Linux ha sdoganato l’idea che i software open non sono solo degli hobby ma anche degli strumenti scientifici e industriali sofisticati. 3 – Internet ama Linux L’infrastruttura di internet è storicamente basata su server Unix e sistemi di routing dei dati che hanno utilizzato Unix o altri sistemi operativi proprietari. Tuttavia, è con l’arrivo di Linux che si è sviluppato il “vero” paradigma di internet: senza Linux milioni di startup non avrebbero potuto entrare in affari, da piccolissimi provider che hanno portato per la prima volta la connettività nelle case di milioni di persone negli anni Novanta ai primi servizi e aziende online.
Linux (logo da Wikipedia) Per esempio, il motore di ricerca di Google esisterebbe solo come tesi di dottorato se non fosse stato possibile riciclare migliaia e migliaia di vecchi pc con Linux per trasformarli nella prima, grande “server farm”. Se Microsoft o Apple volessero sviluppare da zero Linux dovrebbero investire almeno 14,7 miliardi di dollari in stipendi di programmatori per riuscirci. 4 – Un mondo standard Trent’anni fa, quando è nato Linux, c’erano decine di versioni di Unix incompatibili tra loro. È una fase dello sviluppo della tecnologia che viene chiamato “guerra degli Unix” e che ha segnato profondamente quella storia che non si studia sui banchi di scuola o all’università, e tuttavia è critica per lo sviluppo di interi settori industriali oggi dipendenti dal digitale. Linux ha introdotto una varietà di possibili utilizzi con un unico sistema operativo sempre aperto e compatibile, a cui tutti hanno potuto contribuire. Qualcosa di più di uno standard aperto. 5 – Il futuro del cloud L’idea di “macchine virtuali” è molto vecchia, è nata negli anni Sessanta in Ibm. E quella di internet come sistema operativo è dei geni di Sun Microsystems (“The network is the computer“). Ma se guardiamo a tutte le tecnologie del cloud che negli ultimi cinque anni hanno radicalmente trasformato internet, cioè i container e i microservizi, l’unico punto in comune è che sono tutte basate su Linux. La piattaforma creata da Torvalds è quella che permette anche la trasformazione nel modo con il quale si costruisce il software online e offline: DevOps, Ci/Cd (le pratiche combinate di integrazione continua e distribuzione continua del software) e tutti i flussi di lavoro e le tecnologie che oggi permettono il funzionamento di servizi come Google Cloud e Netflix si basano su innovazioni rese possibili, in ultima analisi, da Linux. Le 5 sconfitte di Linux Le sconfitte di Linux sono politiche, non tecnologiche. Ma non per questo bruciano meno. E in alcuni casi ci vuole un attimo per capire perché il sistema operativo nato per essere il campione del mondo open source sia in realtà diventato lo strato gratuito di alcune delle più grandi piattaforme proprietarie 1 – Pochissimo mercato desktop Nonostante lo sforzo dei volontari e la passione europea (soprattutto in Germania) per l’uso dei sistemi operativi e dei software open source per la pubblica amministrazione, in realtà Linux non ha mai sfondato nel mondo dei personal computer, cioè dei sistemi operativi per la produttività personale. La sua quota di mercato è relativamente molto piccola ed è poco diffuso. Ed è un vero peccato, perché ci sono distribuzioni mirate che sono più facili da usare di Windows, ambienti con desktop manager e gestori del sistema strutturati per essere come, se non meglio, di quelli di macOS. Però alla fine chi compra un pc lo fa con Windows già caricato a bordo, oppure prende un Mac. Che, oggi, con il nuovo chip proprietario Apple Silicon, è diventato un po’ meno compatibile con Linux di prima (ma non temete: la community ci sta lavorando). In conclusione: la promessa di avere Linux nei personal computer della metà degli utenti del pianeta non si è realizzata. Peccato. 2 – Non è più veramente “open” Linux ha perso anche una battaglia ideologica molto importante: il sistema operativo “open” e “free” per definizione, alfiere di un sistema in cui tutti possono vedere il codice sorgente del software e modificarlo a piacimento, è diventato la base di una serie di piattaforme chiuse. E questo non è un bene. La licenza di distribuzione e d’uso di Linux non è stata pensata per impedire che, per esempio, Google lo usi sui suoi server e sui telefoni Android, Amazon sul suo cloud, Ibm sui suoi server. Però gli utilizzatori di Linux in questo caso lo sfruttano per costruire piattaforme proprietarie. Il lavoro gratuito di migliaia e migliaia di sviluppatori volontari è stato usato per arricchire i proprietari del codice e Linux è diventato (anche) una commodity che fa il gioco dei big tech, senza ricevere niente in cambio. 3- L’influenza (negativa) dei big del tech Chi sono i più grandi contributori del codice del kernel di Linux e delle varie componenti open source? La leggenda vuole che siano studenti e giovani programmatori volontari di tutto il pianeta che, mossi dalla loro etica, si dedicano gratuitamente al grande progetto “open”. Non è più così. La realtà invece è che grandi aziende come Intel, Ibm, Samsung, Oracle, Google, Amazon e da qualche tempo anche Microsoft (ma non dimentichiamoci di Hp e decine di altri) pagano i loro dipendenti per lavorare in orario di ufficio a Linux e completare una serie di componenti del kernel e di altre parti del sistema operativo open. Diventando anche responsabili di determinate aree o di nuovi progetti. Lo scopo? È riassunto nel vecchio detto: “Se non puoi combatterli, unisciti a loro“.
A 21 anni, Torvalds era un vero geek e come tale si è comportato: ha creato il suo sistema operativo, lo ha messo in Rete e ha chiesto ai suoi simili di partecipare al suo sviluppo. Parliamo di Linux, ovviamente (foto: AFP) Intel, Ibm, Microsoft e tutti gli altri vogliono che Linux vada nella direzione tecnologica che conviene a loro, che supporti le loro tecnologie e hardware, che insomma sia un sistema fatto a loro immagine e somiglianza. Così, i Linux Day (e gli Install Day), i vecchi appassionati che girano a fare proseliti e insegnare ai “newbie” come installare Ubuntu o la Debian e le altre attività della community di volontari (compresi gli adesivi gratuiti che gli studenti appiccicano sul coperchio del loro pc) sono diventati una specie di facciata folkloristica. 4 – Spaghetti code L’espressione, chiariamolo subito, è provocatoria e palesemente esagerata: “spaghetti code” era il termine usato negli anni Settanta e successivi per indicare programmi il cui codice sorgente era confuso e confusionario, soprattutto per l’uso del goto al posto dei costrutti della programmazione strutturato. Lo sviluppo di Linux gestito ancora da Linus Torvalds è fantastico, ma non così il mondo delle distribuzioni e soprattutto la documentazione per gli utenti finali. Là regna il caos. Accanto ad alcune distribuzioni “maggiori” che curano particolarmente la documentazione, c’è un vero e proprio spezzatino in cui trovare la tecnologia o l’informazione che serve diventa un incubo. Senza contare che le distribuzioni e i software open collegati vanno a mode: per un periodo hanno centinaia di sviluppatori e poi vengono abbandonate, lasciando gli utenti finali nei pasticci. 5 – Il kernel sbagliato Quando Linus Torvalds ha deciso di creare Linux, era all’università e l’ha fatto in polemica con un famoso professore di sistemi operativi, Andrew S. Tanenbaum, una specie di superstar del settore nonché il creatore del sistema operativo “didattico” Minix, che era una alternativa accademica nettamente migliore di Unix. Al centro della scelta per l’architettura di Linux fatta da Torvalds c’è stata quella di sviluppare un kernel di tipo monolitico (anche se poi modularizzato). Invece, Tanenbaum aveva e ha dimostrato che l’approccio opposto, cioè con un micro-kernel, è superiore e avrebbe reso Linux molto più efficace e più adatto sia ai processori multicore (che nel 1991 non erano ancora una opzione) e in prospettiva per i servizi distribuiti nel cloud. Linux ha vinto una battaglia che sarebbe stato meglio aver perso. Read the full article
#apple#chrome#cloudcomputing#Debian#elettronica#ElettronicaOpenSource#google#ibm#informatica#intel#Internet#kernel#LinusTorvalds#Linux#macos#microsoft#Minix#opensource#telecomunicazioni#Ubuntu#windows
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LHONG 1919: Thonburi e il lato sconosciuto di Bangkok!
Intanto chiedo scusa per la lunga assenza. Dicono che i blog tradizionali siano morti e che oramai se non ci si reinventa come YouTuber è meglio lasciar perdere. Ma visto che non sono un videomaker e che condivido per il semplice piacere di farlo, ho deciso di continuare nel modo che, oltre forse ad essere utile a qualcuno mi piace di più… scrivendo.
Thonburi - Chiang Mai Alley
Oggi Thonburi sta lentamente iniziando a trasformarsi in moderna espansione della capitale tailandese ma offre ancora molti vicoli e strade dove la gente vive in modo semplice, seguendo ritmi che non sembrano quelli dell’altra sponda del fiume. Camminare senza meta in questa parte della città mi ha più volte riservato piacevoli scoperte come Baan Silapin (la casa dell'artista), Wat Paknam Phasicharoen e il Gong Wu Shrine, lo splendido ristorante Sala Rim Naam del Mandarin Oriental – e perché no, anche se poco da scoprire, il bar panoramico dell’Hilton Millenium - threesixty che offre (ancora per poco) un bellissimo panorama.
E così ieri siamo andati a vedere LHONG 1919! Passando con il battello lo avevo notato più volte; diversi amici me ne avevano parlato. Eppure non mi aveva incuriosito più di tanto. Un pranzo al The Jam Factory (mi riprometto di parlarvi – brevemente – di questo “ristorante” di tendenza) è stata la scusa per fare una lunga passeggiata a Thonburi conclusasi casualmente proprio a Lhong 1919. E devo dire che arrivare via terra invece che in barca è stato fondamentale per spingerci ad entrare in quello che oggi altro non è che l’ennesimo complesso commerciale con tanto di ristoranti pretenziosi che si trovano sulla riva del fiume.
Alla fine di Chiang Mai Alley, di per se stessa molto interessante per lo scorcio sulla vita tailandese che offre, il cartello LHONG 1919 – HERITAGE AT HEART ha attirato la nostra attenzione. Un patrimonio culturale deve per forza prevedere una bella esperienza, no? Ed eccoci così a camminare fra decine di bangkokkiani intenti a fare foto fra una serie di vecchi edifici molto ben recuperati e adibiti oggi a negozi e ristoranti.
LHONG 1919
Ma cos’era in origine questo luogo? Un secolo fa non era altro che un magazzino portuale costruito secondo i principi dell'architettura tradizionale cinese, di proprietà della famiglia Wanglee. Questo insieme di palazzine cadde in disuso quando la famiglia spostò i propri uffici nel cuore pulsante di Yawarat e per decenni rimasero abbandonati. Un paio d’anni fa iniziarono i lavori di recupero e, almeno per una volta, non vennero abbattuti per far spazio a scintillanti grattacieli residenziali o moderni centri commerciali. Ma non aspettatevi chissà che tipo di negozi, se decidete di venire, fatelo per godervi un rilassante paio d’ore a guardare i tailandesi posare per foto da mettere su Facebook.
Particolarmente interessante il murales “stile Art-Street” dell’artista lituano Ernest Zacharevic che a Penang sono diffusi un po’ ovunque nella Old George Town.
Murales
Accanto a Lhong 1919 si trova la Casa Wanglee (Wanglee House) che risale al 1881. Venne costruita per Tan Siew-Wang, un influente uomo d'affari tailandese ma di origini cinesi, capostipite della famiglia Wanglee, riproducendo lo stile della So Heng Tai Mansion, la casa della famiglia Poshyananda, a cui apparteneva la moglie di Tan. La casa nel 1984 ricevette il premio ASA Architectural Conservation Award.
Casa Wanglee
Informazioni utili: Indirizzo: Tanon Chiang Mai (248 ถนน เชียงใหม่ Khwaeng Khlong San, Khet Khlong San)
Posizione: posizione di LHONG 1919 su Google Map
Orario: tutti i giorni dalle 11 del mattino alla 22 Come arrivare: il modo più facile è con i battelli Tourist Boat dal molo Saphan Taksin fino proprio al Lhong 1919; in alternativa a piedi in poco più di 30 minuti passando a piedi sopra il ponte di Saphan Taksin - panorama meritevole (qui il percorso consigliato)
Non si può mai attraversare l’oceano se non si ha il coraggio di perdere di vista la riva. Cristoforo Colombo
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Attendibilità telematica
In questi giorni sto verificando l'inattendibilità delle informazioni che la Rete mette a disposizione degli utenti. Due esempi freschi freschi per chiarire il concetto.
Primo esempio Conosco una ragazza che ha una libreria in franchising. Ovviamente il suo negozio ha un orario di apertura. Google me ne dà uno che non corrisponde. E il sito del franchising me ne dà un altro. Nemmeno quello corrisponde.
Secondo esempio Mi trovo nella necessità di conoscere gli orari di apertura al pubblico del Centro per l'impiego. Un sito mi dà una sede diversa da quella attuale. E un orario. Il sito generale dei centri mi dà la sede giusta. Ma un orario diverso. Telefono per avere lumi. Loro mi danno un altro orario ancora.
Io mi sento lievemente disorientato da tanta disparità di informazioni. A questo punto non posso certo fidarmi di quello che trovo su Internet. Farò come ho sempre fatto. Verificherò di persona. Di me, almeno, riesco ancora a fidarmi.
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Le migliori app per pagare con lo smartphone
Ti capita spesso di rimanere senza contanti? Ora esistono tante app che ti permettono di usare lo smartphone, anche per pagare un semplice caffè
Prima di entrare in ufficio, ci vuole un buon caffè. Mentre si fa una passeggiata in centro, ci scappa sempre un gelato. E se si va al centro commerciale, si sempre un po' di shopping. Fino a qualche anno fa, per effettuare tali spese – anche piccole – dovevi aprire il portafogli e pagare con i contanti. Oggi la situazione è completamente cambiata: si può uscire tranquillamente di casa senza monete e banconote, facendo completo affidamento al proprio smartphone. Pagare col cellulare è una pratica sempre più abituale per gli utenti.
L'avanzata degli acquisti da mobile è dovuta anche alla nascita di tante app per pagare in locali, negozi, supermercati e addirittura la corsa del taxi. La tendenza è diffusa anche in Italia dove, circa un milione di consumatori paga abitualmente in negozio o ristorante con lo smartphone, spendendo in media 500 euro l'anno. I dati sono forniti dall'Osservatorio Mobile Payment & Commerce del Politecnico di Milano che ha constatato la crescita del 650% di tale metodo di pagamento nell'ultimo anno. Secondo i ricercatori entro il 2021 il mercato dell'e-payment potrà valere fino a 10 miliardi di euro. A trainare la rivoluzione ci sono i settori Abbigliamento e Food&Grocery. Se anche tu vuoi iniziare a pagare con lo smartphone, ecco le migliori app per farlo.
Come funziona Satispay
Satispay è una delle app più famose per pagare con lo smartphone. Utilizzarla è molto semplice: bisogna iscriversi, registrare il proprio codice IBAN e associarlo al numero di cellulare in modo da poter effettuare transazioni senza usare la carta di credito o debito, e senza dover affidarsi ad un dispositivo con tecnologia NFC (Near Field Communication), come il tradizionale Pos
Si tratta di una soluzione ideale per chi vende beni a basso costo, perché la commissione è tanto più ridotta quanto lo è la spesa effettuata. In Italia esistono circa 44mila attività commerciali convenzionate con il servizio, a cui se ne aggiungono circa 100 al giorno. Ma con Satispay è possibile anche effettuare altri tipi di transazione, per esempio è possibile prestare denaro agli amici, pagare le bollette o fare beneficienza. Basta selezionare il destinatario, digitare il codice PIN e il pagamento verrà inviato a chi si desidera. Si tratta di un'app estremamente flessibile e sicura, considerata tra le migliori per liberarsi definitivamente sia di contante che di carta prepagata. Satispay può essere scaricata dal Google Play Store e dall'App Store.
Pagare la metro con smartphone contactless
Ti capita spesso di dover prendere la metropolitana o i mezzi pubblici ma non avere tempo per acquistare il biglietto? Ormai in tante città del mondo, tra cui Londra, Parigi, ma anche Milano non è obbligatorio fermarsi per acquistarlo. Si può usare lo smartphone per pagare il biglietto. I tornelli hanno di solito dei sistemi di pagamento integrato, che consente di avvicinare il cellulare ed effettuare la transazione. Una volta accettata, il tornello si apre e permette al viaggiatore di raggiungere il binario desiderato. A Roma, per esempio è possibile pagare la metro grazie all'app Mycicero. Questa soluzione permette anche di pagare i parcheggi con le strisce blu e il treno.
Le app per pagare le tue corse in taxi
Hai un appuntamento di lavoro in una città che non conosci? Esistono diverse soluzioni per prenotare e pagare la corsa in taxi con lo smartphone. Tra le più famose troviamo Tinaba oppure MyTaxi.
Tinaba consente di pagare o condividere la corsa senza commissioni. Sono oltre ottomila i taxi italiani che aderiscono a questo servizio, e sono sparsi tra Roma, Milano, Genova, Firenze e Palermo. L'applicazione è disponibile sul Google Play Store e sull'App Store. Per effettuare il pagamento, occorre inquadrare il QR codepresente sul taxi che aderisce all'iniziativa, e inserire la cifra dovuta. Il pagamento è immediato e il tassista riceve subito la notifica. Con Tinaba si può anche condividere la spesa del viaggio, grazie alla funzionalità Conto Condiviso. Inoltre, si può pagare la corsa a distanza, magari perché effettuata da un amico, un figlio, un parente.
Altra applicazione per pagare il taxi con lo smartphone è MyTaxi. Dopo aver scaricato l'applicazione (Google Play Store e App Store), si può prenotare la corsa, selezionando indirizzo e orario di partenza, oltre a pagare il taxi alla fine del viaggio.
Le app per ordinare tutto ciò che vuoi a casa: pizza e non solo
Quante volte ti capita di tornare a casa dopo una giornata di lavoro e trovare il frigo vuoto, ma soprattutto nessuna banconota a disposizione? Se fino a qualche anno fa si era costretti a uscire a fare la spesa, ora è possibile ordinare la cena a domicilio direttamente dallo smartphone. Le app di food delivery mettono a disposizione un numero infinito di possibilità: dal sushi, al panino con l'hamburger fino ad arrivare alla pizza e alla pasta. Le più famose in Italia sono Deliveroo, Just Eat e Foodora.
Just Eat consente di ordinare cibo da ristoranti, pub e pizzerie presenti nella tua zona, a patto che siano convenzionati col servizio. Se non sai quali sono i locali partner del servizio, puoi digitare l'indirizzo di destinazione nell'app e ti indicherà tutti i locali che servono nella tua zona. Non ci sono commissioni, ed è possibile pagare via app oppure in contanti al momento della consegna. Inoltre, si può preordinare il pranzo o la cena e decidere la data e l'orario in cui farsi consegnare il cibo. Le altre applicazioni funzionano in modo molto simile. Il consiglio è quello di testare quale servizio è attivo nella tua zona. Potresti scoprire che il tuo ristorante preferito è affiliato ad un'app invece che ad un'altra. E decidere di conseguenza da chi acquistare.
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A chi serve la scuola dell’ignoranza?
Che in Italia i continui appelli alla meritocrazia non fossero altro che un ideologico feticcio usato per smantellare i diritti dei lavoratori e degli studenti avrebbe dovuto essere chiaro quasi a tutti sin da subito, ma si sa che non vi è peggior sordo di chi non vuole sentire e peggior cieco di chi non vuol vedere. Inoltre, indicare il dito per non guardare la luna è una tecnica di distrazione di massa sempre attuale e sempre efficace. Pertanto, per anni, il mantra del merito come panacea di tutti i mali italici è stato ripetuto, con vigore misto ad arroganza, dagli esponenti del governo, dai giornalisti e dagli intellettuali che contano perché lavorano e scrivono per testate che contano, o così almeno si dice.
Insegnanti vecchi, migliaia di docenti precari, salari bassi, edifici pericolanti, dispersione scolastica in aumento, classi pollaio, laboratori obsoleti, palestre inagibili: niente… secondo i presidenti del Consiglio, i ministri dell’Istruzione, le maggioranze di governo e gli opinionisti di grido, tali aspetti erano e sono secondari, se non addirittura irrilevanti (almeno sino a quando non crolla un soffitto o una parete che uccide “accidentalmente” qualche studente e a cui seguono le rituali lacrime di coccodrillo). Il vero, grande e irrisolto problema della scuola italiana sembrava essere, in modo inequivocabile, la scarsa meritocrazia che regnava tra gli insegnanti e gli studenti (nonostante studi internazionali collocassero le nostre elementari e i licei ai primi posti al mondo come percorso formativo).
Il male oscuro del sistema dell’istruzione italiana non erano gli scarsi investimenti infrastrutturali e i continui tagli alle risorse umane, bensì la zavorra era data dall’impianto egualitario e troppo democratico figlio del dannoso Sessantotto. Ed è così che le riforme Gelmini e Giannini sono state presentate come le svolte politiche innovative e necessarie, in grado di proiettare la scuola verso il futuro proprio perché centrate sul merito e sulla qualità, due concetti cardine per una scuola che potesse stare finalmente al passo con le sfide quotidiane della globalizzazione liberista, unico paradigma politico ed economico accettato dalle classi dirigenti italiane ed europee negli ultimi trent’anni.
Ebbene, a otto anni dalla riforma berlusconiana e a due dalla buona scuola renziana, e alla luce delle recenti novità sui criteri di promozione e sul nuovo esame di stato, non è forse giunta l’ora di fare, con onestà intellettuale, un bilancio di questi cambiamenti educativi epocali, imposti come sempre rigorosamente dall’alto e contro il parere della quasi totalità di chi lavora e vive nel mondo della scuola, perché si sa che gli insegnanti sono pigri, corporativi e conservatori e dunque sempre pronti a difendere i loro privilegi?
Proviamo a ripercorrere alcune tappe di questo mutamento. Come prima cosa, la nuova scuola italiana è stata progressivamente privata di molte ore disciplinari, a partire dall’idea che gli studenti trascorrevano troppe ore a scuola e non avevano più un adeguato tempo libero personale per stare a casa il pomeriggio con la famiglia e per coltivare i propri hobby privati, tra cui ricordiamo spiccano, a parte quella minoranza di giovani sportivi, giocare aivideogames, chattare, guardare “Uomini e Donne”, navigare su youtube per guardare video sulle morti bizzarre otutorial su come farsi le unghie o depilarsi. E così via alla soft school: meno ore di matematica (tanto è difficile), di latino (tanto è inutile), di storia (tanto è noiosa), di arte (tanto è morta), di filosofia (tanto è masturbazione mentale), di geografia (tanto c’è google maps), di italiano (tanto serve l’inglese), di inglese (tanto lo impari andando all’estero).
Meno scuola per tutti per rilanciare la vita privata, minacciata dall’invadenza dello stato, e per stimolare i consumi nei grandi centri commerciali: un’idea che ben si concilia con una scuola democratica, meritocratica e di qualità. La nuova scuola snellita ha, infatti, il merito di dire come stanno le cose: a cosa servono Shakespeare e Calvino se i giovani leggono Moccia e Volo? A cosa serve conoscere la pittura di Picasso o il pensiero di Kant se tanto i giovani in tv guardano il Grande Fratello e al cinema i film di Checco Zalone? Meno scuola significa costruire un orizzonte culturale al passo con i tempi della mercificazione totale e del disimpegno civile.
Poi è stata la volta dell’alternanza scuola lavoro. Perché, infatti, in piena crisi economica e occupazionale, non rendere obbligatorio, per la scuola secondaria di II grado, svolgere 400 ore (nei tecnici e professionali) e 200 ore (nei licei) di lavoro gratuito in aziende ed enti convenzionati con il MIUR? Meglio conoscere il mondo del lavoro, anziché perdere ore sui banchi di scuola a fare problemi di geometria o a leggere l’Apologia di Socrate o il De rerum natura di Lucrezio. Meglio cuocere patatine fritte al Mc Donald o rilevare i numeri dei contatori per l’Enel che studiare fisica o le operette morali di Leopardi. Basta con la scuola teorica e astratta, gli studenti devono imparare a fare, conoscere il mondo reale in cui si produce (sempre meno, ma è un dettaglio) e si lavora (anche qui sempre meno, ma è sempre un dettaglio) e poi chissà che magari, forse, un domani, chissà, qualche studente non sia addirittura assunto in quei luoghi.
Ed è così che l’alternanza è diventata nel triennio delle superiori la seconda materia per numero di ore a disposizione (dietro ad italiano, ma probabilmente ancora per poco). Per svolgere questo elevato monte orario di lavoro, la maggior parte delle scuole ha attivato progetti che si svolgono non in orario extrascolastico o festivo, anche per non turbare i progetti privati delle singole famiglie, ma in orario scolastico mattutino. Dunque dopo aver ridotto con la Gelmini il numero di ore curriculari, ecco che con la buona scuola si è addirittura giunti a sostituire ore disciplinari con ore di lavoro gratuito, ma formative per una speranza di lavoro precario futuro.
Contemporaneamente, si è iniziato a sostenere che il nuovo apprendimento doveva avvenire per competenze e non più attraverso le vetuste e obsolete conoscenze, in quanto quest’ultime nel nuovo mondo digitale sono nelle mani di ogni ragazzo e alla portata di un click. Con un’enciclopedia virtuale in un accessorio attraente e sexy di 15 cm, perché perdere tempo a insegnare i contenuti disciplinari? Gli studenti del nuovo millennio devono sviluppare competenze linguistiche, logiche e informatiche. Pazienza se non sanno la differenza tra la Roma repubblicana e quella imperiale, se pensano che Crizia sia la marca di un profumo e Malcom X un giocatore dei Lakers, se non conoscono Canova o Juvarra, se non distinguono la poetica di Foscolo da quella di D’Annunzio, se ignorano le leggi di Keplero o i principi di termodinamica, o non conoscono la Costituzione e i suoi valori.
L’importante è saper fare, magari sul nulla e probabilmente nel vuoto, ma fare. Chiedere ad uno studente di memorizzare dei contenuti equivale a torturarlo, ad umiliarlo. La scuola che insegna a studiare a memoria e a ragionare sui contenuti è più noiosa di un romanzo di Verga. Suvvia a cosa serve la memoria e la storicizzazione. Al di là di alcune giornate ed iniziative ormai retoriche, la nuova scuola italiana all’epoca della globalizzazione deve essere un luogo di eterno presente, cioè una sorta di negozio h24 proiettato verso il futuro, cioè verso il consumo e l’utilizzo di nuova tecnologia, nuove applicazioni che oggi soppiantano quelle di ieri e domani quelle di oggi, in una dialettica nuovo-vecchio che rende impossibile la crescita coscienziale e critica di soggettività singole e collettive.
Infine, arriviamo alle ultimissime novità, alle nuove modalità di scrutinio per le scuole medie e per l’accesso all’esame di stato per le superiori. Per quanto riguarda le medie per essere promosso basta avere la media del 6. Pertanto uno studente con 9 in condotta, 8 in Educazione Fisica, 8 in Arte e Immagine e 7 in Musica e al contempo 4 in Matematica, 4 in Italiano, 5 in Storia e 4 in Inglese sarebbe promosso. Alla faccia della democrazia e del merito. Il consiglio di classe perde ogni ruolo educativo, il giudizio del professore su cosa potrebbe essere meglio per il ragazzo è annullato dalla nuda media dei voti. La media matematica diventa l’unica legge che regola l’andamento scolastico e il percorso formativo, trasformando ancor di più la professione docente da educativa a burocratica.
La situazione alle superiori, che non sono più scuola dell’obbligo, diventa ancora più paradossale. Per essere ammessi all’esame di stato basta avere, anche in questo caso, la semplice media del 6. Dunque un 4 di matematica è pareggiato da un 8 di Ginnastica, un quattro di scienze da un 9 di condotta e un 4 di fisica da un 8 di storia, un 5 di scienze da un 7 di inglese. E così un ipotetico studente del liceo scientifico sarebbe ammesso all’esame di stato. Lo stesso dicasi per un liceo linguistico, in cui con tre lingue straniere insufficienti bilanciate da due 7 in storia e italiano e un 9 di comportamento, lo studente sarebbe ammesso comunque all’esame. Ecco il volto della buona scuola, ecco la nuova scuola dell’ignoranza 2.0.
Ma la riforma non si ferma qui: via anche la terza prova, volutamente chiamata quizzone per denigrarla, in modo che i ragazzi non debbano più faticare a studiare 4 materie al fine di saper rispondere a fastidiose domande aperte di tipo contenutistico (orrore). E già che ci siamo via anche l’approfondimento multidisciplinare personale; il colloquio con la maturità inizierà raccontando l’esperienza di alternanza scuola lavoro presso le aziende o gli enti in cui si è lavorato. Come sarebbe bello se uno studente, seduto davanti alla commissione, si alzasse e fantozzianamente dicesse“l’alternanza scuola-lavoro è…. una cagata pazzesca”. 82 minuti di applausi. Ma gli studenti riusciranno a contrastare nel breve periodo una scuola così ammiccante e volgarmente sexy, una scuola che chiede loro di leggere e studiare sempre meno e che promuove anche con numerose insufficienze?
Ecco lo stato dell’arte della nuova scuola italiana. E poiché io credo poco all’incapacità e alla stupidità assoluta di chi governa, mi sorge spontanea la seguente domanda: a chi giova questa scuola dell’ignoranza? Chi trae vantaggio dalla trasformazione della scuola italiana in un supermercato in cui parcheggiare i ragazzi? In un Luna park in cui bisogna fare tutto male e velocemente, per imparare nulla nel lungo periodo? Proviamo a rispondere con ordine.
La scuola dell’ignoranza, innanzitutto, serve al potere politico, in quanto è più facile governare un popolo ignorante, con poche conoscenze e con competenze acritiche. I cittadini e i lavoratori ignoranti si trasformano più facilmente in sudditi obbedienti, educati ad un vuoto che favorisce l’asservimento volontario e la ricerca di leader autoritari a cui affidare le proprie vite. L’assenza di una cassetta degli attrezzi culturale adeguata alla complessità del presente trasforma gli uomini e le donne in analfabeti sociali e politici, sempre bisognosi di tutor. E’ il ritorno dell’umanità ad una condizione di minorità, da cui traggono forza e potere le élite nazionali e globali.
La scuola dell’ignoranza serve al potere economico, in quanto cittadini poco istruiti non hanno mezzi critici per rivendicare diritti e per contrastare i processi di precarizzazione del lavoro e di speculazione finanziaria che sottraggono risorse e beni pubblici a favore dell’arricchimento privato. La scuola dell’ignoranza è funzionale al mantenimento del dominio di quella decina di uomini che detengono una quantità di ricchezza pari a quella del 40% del popolo italiano. Lo svuotamento dell’istruzione trasforma i cittadini in consumatori bulimici di applicazioni, di tecnologia, di vacui eventi mondani e crea lavoratori disillusi e rassegnati alle condizioni di precarietà e sfruttamento, privi di quegli strumenti intellettuali indispensabili per rovesciare l’ordine costituito delle cose.
La scuola dell’ignoranza serve al potere culturale mainstream, in quanto giovani poco istruiti e poco colti diventano immediatamente le perfette cavie dell’industria culturale mondiale, la quale costruisce intrattenimento passionale di basso livello ad uso e consumo delle masse. La scuola dell’ignoranza svuota i musei, i cinema, le librerie, i locali di musica live e riempie i non luoghi in cui consumare arte-evento-spettacolo innocua e banale, compatibile con la società del mercato e della mercificazione totale. Anche la cultura alternativa proposta deve rispondere alle logiche del consumo e della standardizzazione acritica. La scuola dell’ignoranza ti porta a leggere i libri di chi è già famoso, di chi ha vinto un talent, di chi conduce trasmissioni di successo o ha un canale youtube con milioni di iscritti.
La scuola dell’ignoranza diventa, dunque, un formidabile strumento a favore del potere e di chi ha in mente un paese sempre più diviso tra ricchi e poveri, tra i pochi benestanti e i molti precari costretti a sbarcare il lunario e ad abbassare le loro speranze di vita dignitosa. La scuola dell’ignoranza pubblica e di massa sarà la scuola del popolino, del ceto medio impoverito, dei tanti nuovi proletariati.
A fianco di questa distesa di scuole impoverite, svuotate e omologate, sorgeranno sempre più enclave scolastici pubblici e privati di alto livello, destinati ai figli dell’alta borghesia, in cui si ridurrà al minimo l’impatto dell’alternanza scuola lavoro, facendola svolgere in orario extrascolastico, in cui le materie di indirizzo saranno potenziate con laboratori, in cui le didattiche tecnologiche saranno comunque limitate (come già oggi accade nelle scuole dove vanno i figli dei manager della Silicon Valley) e in cui si studieranno bene sia le lingue vive sia quelle morte, l’arte, la filosofia, le scienze e la matematica. Saranno le scuole in cui si formeranno le classi dirigenti del futuro, le quali una volta al potere continueranno ad impoverire la scuola pubblica di massa per perpetuare la loro posizione di forza.
Perché la scuola dell’ignoranza è innanzitutto una scuola contro le classi sociali più povere, in quanto colpisce al cuore la mobilità sociale e la possibilità di emanciparsi e di costruirsi un futuro di libertà e dignità. Per questo chi vuole una società che si muova nella direzione della democrazia e della giustizia, non può che non rigettare al mittente la scuola dell’ignoranza che ogni giorno rende i ricchi più ricchi e i poveri più poveri, attraverso l’inganno del rendere l’istruzione meno impegnativa, meno faticosa e più divertente.
La libertà ha un prezzo, e in politica chi fa i saldi, chi propone sconti e divertimenti, ci sta vendendo, con il sorriso sulle labbra, le catene con cui incatenarci.
Matteo Saudino
http://antoniomoscato.altervista.org/index.php?option=com_content&view=article&id=2744:a-chi-serve-la-scuola-dellignoranza&catid=20:ipocrisie-e-dimenticanze&Itemid=31
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Modi in cui violiamo la nostra privacy ogni giorno
Un nuovo post è stato pubblicato su https://www.staipa.it/blog/modi-in-cui-violiamo-la-nostra-privacy-ogni-giorno/
Modi in cui violiamo la nostra privacy ogni giorno
Oggi si parla moltissimo di privacy ed è un bene, ma spesso se ne parla nel modo sbagliato. C’è un forte timore di aziende che pare vogliano a tutti i costi ledere i nostri diritti e che si arricchirebbero con i nostri dati o sarebbero in grado di controllarci. Parecchie persone sono terrorizzate dall’uso che Facebook, Google, Apple e altri e dell’uso che possono fare dei nostri dati. Sembra che uno dei motivi principali che impedisce la diffusione delle app di tracciamento dei contagi sia ancora una volta il timore che i nostri dati (che ricordiamo in realtà non vengono raccolti: https://wp.me/pQMJM-1Yg) vengano dati ai governi, o peggio -secondo qualche esponente politico- al governo cinese. C’è chi non vuole comprare telefoni cinesi pensando che siano più pericolosi di quelli americani, magari scordando lo scandalo dell’NSA americana (https://tinyurl.com/yx949lgl) perché il pericolo cinese è più spendibile mediaticamente.
Tutto questo è per buona parte causato dalla scarsa conoscenza delle nuove tecnologie e si porta dietro la storia di paura che ogni nuova tecnologia, o in generale ogni novità, si porta dietro. Ma davvero sono questi i reali pericoli per la nostra privacy? Davvero il pericolo più grosso è Google che conosce la nostra posizione GPS o Facebook che conosce i nostri gusti sessuali?
Molte persone quotidianamente, anche tra quelli che vivono questo genere di preoccupazioni si trovano invece a mettere in pericolo la propria privacy in modi che con i piani di queste grandi multinazionali non hanno per nulla a che fare. Ecco alcuni semplici esempi.
Stick Figure Sulle Automobili
Da alcuni anni vanno di moda delle figurine da mettere sull’auto con la famiglia, spesso si mettono nomi del papà, della mamma, dei figli, perfino degli animali domestici. Quanto facile sarebbe andare da un bambino e dirgli “Ciao, sono Mauro, l’amico di papà Gino, ti ricordi? Siamo venuti anche a casa e mamma Gina ci ha fatto da mangiare! Come sta il gatto Ginatto?” Non risultano casi in cui questo sistema abbia avuto davvero un utilizzo specifico ma siamo sicuri che nessuno possa usarlo? Non potrebbe essere più saggio non mettere i nomi?
Storie su Whatsapp/Instagram/Facebook/Snapchat e dintorni
Condividere con i conoscenti quello che stiamo facendo è un bellissimo modo per sentirsi vicini, e ammettiamolo, far vedere a tutti che siamo in vacanza è spesso un bel momento piacevole della giornata vacanziera. Ma siamo sicuri che tutti debbano saperlo? Se la privacy non è impostata correttamente il rischio concreto è che chiunque abbia il nostro numero di telefono per Whattapp, chiunque conosca il nostro account Facebook o Instagram o Snapchat possano sapere facilmente dove siamo ma soprattutto dove NON siamo.
Siamo sicuri di volerlo far sapere proprio a tutti? A volte qualcuno potrebbe essere interessato a sapere dove siamo per farci un dispetto a casa, un furto, una denuncia nel caso avessimo dichiarato diversamente.
Ognuno di queste app o siti hanno delle impostazioni per condividere con specifiche persone gli stati e le storie. Una buona idea è quella di provare queste funzioni e imparare ad usarle.
Foto in generale su Whatsapp/Instagram/Facebook/Snapchat e dintorni
Non sono solo le foto di quando siamo assenti a poter creare problemi. Molto spesso condividono fieramente foto dei propri figli o delle proprie attività, sempre senza i giusti settaggi di privacy. Quanto è facile per uno sconosciuto guardando il vostro profilo capire dove vanno a scuola i vostri figli? Dove vanno a fare sport? Quali sono i loro gusti preferiti? Esistono persone specializzate nell’adescare ragazzi, e i casi di cronaca sono purtroppo numerosi e ben conosciuti. Quale migliore strumento per queste persone se non il profilo social di un ragazzo o del suo genitore quando sono privi di controlli di privacy e di oculatezza nel pubblicare?
In molti casi si possono ricavare altre informazioni come la targa della vostra auto, il modello di allarme installato dentro al vostro appartamento, dove aspettarvi sapendo quali attività fate con regolarità, il limite è dettato solo dalla fantasia di chi vuole sapere qualcosa su di voi e dalla vostra attitudine a regalargli informazioni.
Informazioni rilevabili dalle vostre foto
Lo abbiamo già visto come metodo per scoprire unaFake Newsnell’articolo “Come riconoscere una Fake News? Parte 6” (https://wp.me/pQMJM-1Ub) ma ovviamente la cosa può essere usata anche contro di noi.
Nelle foto che facciamo, soprattutto se fatte con il cellulare spesso sono inserite molte informazioni, tra cui la posizione GPS in cui è stata scattata e spesso i social network se non correttamente impostati suggeriscono di mostrare tale posizione.
Nelle impostazioni della fotocamera del telefono in genere c’è l’opzione per disabilitare questa possibilità. Ovviamente questo implica non avere i raggruppamenti nelle foto nella galleria o altre funzioni che sono spesso utili e carine. La scelta è libera ma anche qui è bene conoscere l’esistenza di queste funzioni.
Un’altra considerazione che è importante fare è che molte volte non è necessaria la posizione GPS per capire o almeno intuire dove sia stata fatta la foto. Qualcuno che abbia davvero interesse a scoprirlo potrebbe riconoscere il luogo o tentare di risalirci con strumenti semplici come Google Immagini. Anche in questo caso è possibile si riesca a rilevare molte più informazioni di quanto ci si aspetti.
Applicazioni per trovare amici o incontri
Molte applicazioni di incontri come Tinder, Lovoo, Meetic, Grindr, ma anche alcune funzioni di app diverse come Telegram, permettono una localizzazione “lasca” che ci dice quanto distante è una persona che ci può interessare.
Non andrò a parlare del pericolo o meno di esporsi su questo genere di applicazioni, è ovvio faccia parte del gioco e del divertimento di attirare e giocare, e non discuto sulla loro utilità in determinati casi, ne ho fatto uso anche io e non lo nascondo.
Per la gran parte dei casi questo non rappresenta un serio pericolo. Ci permette di provare a metterci in contatto con persone interessanti che siano a poca distanza da noi così da organizzare un incontro di qualche genere con loro piuttosto che con persone troppo lontane per essere incontrate fisicamente. Nessuno -si spera- avrebbe la costanza e la voglia di rintracciarci con uno strumento simile, eppure è bene sapere che è possibile.
Chiunque abbia avuto per esempio problemi di stalking deve essere consapevole che con tanta costanza, fatica e diversi movimenti e spostamenti spaziali è possibile prendendo la vostra distanza più volte da più punti trovare la vostra posizione. Facendolo magari in un orario in cui siete necessariamente a casa.
Per quanto la tracciatura della posizione di queste app sia imprecisa, più alto è il numero di rilevazioni più sarà facile rintracciare la vostra posizione. Non al centimetro magari ma è verosimile trovare il quartiere, o l’isolato. Se aveste un serio motivo di nascondervi da qualcuno potrebbe essere più che sufficiente per causarvi qualche serio problema.
Il vostro numero di telefono e la vostra mail
Conoscendo il vostro numero di telefono o la vostra mail, e inserendoli in social network, se li avete usati per registrarvi e non avete impostato correttamente la privacy sarà facile trovare il vostro profilo.
Questo significa che se per esempio metterete il vostro numero di telefono o la vostra mail su un contratto o su un annuncio sarà facilissimo per chi volesse andare a verificare che tipo di persona siete, anche se sui social non siete registrati col vostro nome vero. Immaginate che bello andare ad un colloquio di lavoro in cui, grazie all’indirizzo mail che avete usato per mandare il curriculum, abbiano potuto visionare quelle foto da ubriachi mentre giravate mezzo nudi per il centro storico in cui i vostri amici vi hanno taggato sei anni fa.
Il giochino vale anche con il “doppio salto” magari avete lasciato il numero di telefono su un sito in cui avete venduto un tostapane, ma su quel sito compare la vostra mail o il vostro nome, da cui magari è possibile risalire a un nickname che magari si ritrova anche su Instagram.
Potrebbe valere anche il contrario, una volta trovato il vostro profilo social e visto il nickname con cui siete registrati
qualcuno potrebbe cercare lo stesso nickname e trovarvi su altri siti o social. Magari proprio su quel sito dove avete provato a vendere il tostapane e in cui avete inserito il vostro numero di telefono.
Più dati spargiamo, e più coerentemente lo facciamo (per esempio usando lo stesso nickname ovunque) più è facile per qualcuno raccogliere informazioni e correlare i dati.
Qui ci sarebbe da aprire un’enorme parentesi su usare lo stesso nickname e pure la stessa password, ma questo è un’argomento di cui magari parlerò un’altra volta.
Telecamere installate all’interno della propria abitazione
Sta diventando sempre più di moda, grazie al cosiddetto Internet of Things installare cose dentro e fuori casa che comunicano in internet, spesso con cose che non conosciamo. A parte casi noti come:
Bamboline Hi-tech che spiano i figli: https://tinyurl.com/y262bf2a
Campanelli digitali per le porte di casa colabrodo: https://tinyurl.com/u4vyz9p
Problemi con rosari smart: https://tinyurl.com/y2amuyvg
Lampadine smart controllabili da altri: https://tinyurl.com/yy3dw8ov
Tracciatori GPS tracciabili da altri: https://tinyurl.com/y4a8m6wj
Sextoys spioni: https://tinyurl.com/y5dfnl7s
Toilette smart poco smart: https://tinyurl.com/y37j9w7c
Lucchetti smart vulnerabili: https://tinyurl.com/y25j8alf
Motivi per cui consiglio di non comprare aggeggi elettronici o smart dove non ci sia un valido motivo perché siano elettronici o smart, e se proprio è necessario comprarli farlo da produttori affidabili. Il problema più serio e comune, a mio avviso, sono invece le telecamere di sorveglianza che molti comprano e installano senza conoscerne gli effettivi rischi.
L’apparente sicurezza di poter vedere cosa succede nella propria casa anche da remoto sullo smartphone o su un PC nasconde un grosso pericolo: che possa farlo anche qualcun’altro. Molte delle telecamere in commercio hanno una password standard uguale per tutti i modelli della stessa marca facilmente recuperabile dal web (per esempio: https://www.manolog.it/ip-camera-default-password/). Questo implica che se non cambiamo noi la password sarà facilissimo per chiunque spiarci, vedere cosa facciamo in casa, vedere quando siamo fuori, vedere se abbiamo un impianto di allarme, o violare la nostra intimità in base a dove l’abbiamo installata.
Possibile? Ma come fanno a connettersi? Con lo stesso software che usate voi, e cercandovi su un apposito motore di ricerca come www.shodan.io, un motore di ricerca che fa scansione delle reti trovando dispositivi come webcam o altro non sufficientemente protetti e per tanto acccedibili da chiunque. Trova anche router, database, sistemi di controllo industriali… qualunque tipo di servizio sul web privo di password o con password di default. Iscrivendosi è possibile guardare nelle case di milioni di persone senza che loro lo sappiano. E anche qui i casi di cronaca sono parecchi, e anche le guide per farlo.
Quindi qual’è la soluzione?
In realtà non serve una soluzione, in un mondo interconnesso in cui quasi tutto è basato sulle informazioni è normale che le cose funzionino in questo modo e la questione non è avere paura o non avere paura ma conoscere o non conoscere. Anche con le tecnologie di oggi i pericoli è più probabile vengano da qualcuno che ci conosce o che ci è vicino rispetto a gigantesche aziende a livello mondiale per le quali siamo essenzialmente dei numeri. Per quelle abbiamo a proteggerci il GDPR (www.garanteprivacy.it/il-testo-del-regolamento), abbiamo le leggi internazionali, e abbiamo il fatto che difficilmente a qualcuno in una gigantesca azienda americana ha davvero interesse a sapere cosa fa Giggino a Canicattì, se non come dato aggregato a cui mandare pubblicità mirate. Il pericolo, se ne esiste uno, viene dal nostro usare in maniera superficiale la tecnologia, o semplicemente dai nostri comportamenti. Dal non conoscere le implicazioni tecniche di quello che facciamo e degli strumenti che utilizziamo. Il vero nocciolo del discorso è esattamente questo: pensare prima di fare. Poi come sempre ognuno è libero di gestire la propria privacy e i propri strumenti tecnologici come preferisce, rimarrà sempre chi da un lato ha la fobia della violazione della privacy e chi dall’altro pensa “tanto non ho nulla da nascondere”, ma l’importante e che entrambi sappiano come muoversi, quali possono essere le conseguenze.
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#DC143C
I muri del mio appartamento rimbalzano e amplificano il suono di un sassofono, accompagnato da una chitarra elettrica così silenziosa che si espande nell'aria come un odore; le mie orecchie si accendono e trasmettono l'impulso al cervello, che decide di farmi aprire gli occhi giusto per farmi notare che, il rametto d'incenso sul mio comodino, ha appena esalato il suo ultimo respiro.
Vedo del rosso e non capisco perché lì per lì mi sento come se fossi fuori dal mondo, in un posto in cui non dovrei essere; decido di guardare il mio orologio, compagno fedele che mi è stato accanto nelle gioie e i dolori di questa vita segnata: è un Casio d'annata, comprato a due spicci su Amazon ma affidabile, duraturo, immutabile in tutto questo tempo trascorso insieme.
4:35, non ho bisogno di accendere il display perché è anch'esso illuminato di rosso.
Guardo i secondi scorrere sul display quando capisco il perché di quel colore così accecante: mi sono addormentato di colpo, e ho lasciato i led e la mia piccola cassa Bluetooth accesi ma non solo, perché mi sono addormentato con lo smartphone in mano.
Lo accendo, lo guardo e, con gli occhi appannati dal sonno, mi accorgo che mi ha augurato la buonanotte: s'è accorta che sono andato a dormire senza salutarla e sicuramente si sarà sentita sola, ma rimedierò un giorno o l'altro o forse no, non importa.
Spengo il telefono e lo lascio cadere sul letto, mentre con fare incerto decido di alzarmi: mi siedo ai bordi del letto e guardo la mia stanza vuota, inerme, con solamente il sassofono e la chitarra elettrica che riecheggiano nell'aria; decido però di spegnere la cassa, ho bisogno di silenzio in questo momento.
Il silenzio è l'unico momento in cui non può succedermi niente.
Mi stiro, e nel frattempo mi metto gli occhiali che mi danno sempre un'aria più sofisticata, chissà perché: appesantiscono il mio sguardo, mettono in evidenza le mie fossette sotto gli occhi e le mie occhiaie ma sono io, e senza di loro non sarei quello che sono.
Buffo come gli oggetti abbiano la capacità di definire ciò che siamo.
Li metto e la prima cosa che faccio è andare in bagno, al buio, senza nemmeno degnarmi di vedere dove sto andando perché tra poco devo uscire e sono già in ritardo, come al solito: stranamente riesco a centrare la tazza, non mi succede mai a quest'ora.
Svuoto la mia vescica, ed è come se non lo facessi da giorni, mesi, anni.
Ritorno in camera mia e apro l'armadio, è sempre la prima cosa che faccio quando devo prepararmi per andare a un appuntamento anche se non so mai cosa scegliere: questa volta, però, lo so e devo solo prendere la mia camicia preferita, la mia cravatta delle grandi occasioni e un paio di pantaloni, un paio di scarpe, qualcosa per non morire di freddo, il mio zaino con le solite cianfrusaglie per sopravvivere e il mio accendino color giallo, che ho anche se non fumo; prendo tutto e vado in bagno, perché voglio che si presenti a questo appuntamento il Marco migliore, quello che non riesco mai a vedere se non negli occhi degli altri.
Mi chiudo in bagno anche se sono solo perché voglio essere al sicuro, anche da me stesso.
Entro in doccia: chiudo gli occhi e lascio andare via, grazie allo scorrere dell'acqua, il mio sonno per permettere alle mie incertezze, alle mie ansie, alla voglia di non fallire, di riuscire, di essere di entrare nel mio corpo, quasi per prenderne possesso e per terrorizzarmi, impietrirmi, impedirmi di agire come un veleno in circolo nelle vene delle mie intenzioni ed emozioni.
Esco, mi asciugo e indosso tutto: sistemo la mia cravatta nel modo migliore che posso, abbottono i polsini stando attento a non far saltare i bottoni e abbottono la camicia stessa stando attendo ad associare i bottoni agli occhielli corrispondenti e allaccio le scarpe stando attendo a infilare i lacci tra il piede e il lato della scarpa stessa, perché mi si slacciano sempre le scarpe e non è questo il caso.
Sono vestito ma mi manca ancora tanti passaggi che compio scrupolosamente, quasi come un rito: devo pettinarmi, sistemare la barba, lavarmi i denti, le orecchie, sistemare le unghie, mettermi il profumo stando attento a non puntare il tutto sulla barba appena tagliata, mettermi le gocce negli occhi, ma anche banalmente schiarire la voce, non sembrare uno in cerca di droga, non essere il solito sciatto del cazzo; le mie premesse vanno a farsi benedire quando mi guardo allo specchio e noto che, per quanto io ci abbia provato, sono comunque il solito sciatto del cazzo: decido che va bene così perché sono me stesso, e se devo fallire in tutto questo non voglio farlo nei panni di un'altra persona.
5:15, il mio Casio è proprio un compagno affidabile.
Prendo le chiavi, spengo le luci, chiudo la porta di casa a chiave ed esco; in pochi secondi sono in auto, navigatore alla mano, destinazione impostata: "15 minuti all'arrivo", forse ce la faccio ad arrivare in tempo.
Accendo i fari, metto la cintura, abbasso la voce del navigatore che mi ha distrutto i timpani e metto in moto, anche se con un po' di fatica per via dell'età della mia auto: dopo pochi minuti imbocco l'autostrada a 3 corsie che mi permetterà di arrivare da lei.
Chiedo a Google di rimettere in riproduzione la canzone che mi ha svegliato stamattina mentre accelero e mi metto su una velocità di navigazione di 130km/h: mi godo il panorama, l'orizzonte ma anche la luce dei fari che si insinua tra le curve di quest'autostrada e che mi permettono di vedere il futuro, anche se soltanto a distanza di pochi metri.
Arrivano a farmi compagnia le mie paure, le mie ansie, le mie insicurezze che sono entrate dentro di me e che non escono più perché adesso fanno parte di me, anche se solo per un po'; ho paura di farmi male di nuovo perché sto di nuovo rimettendo in ballo me stesso e sto mettendo in discussione quello che sono, quello che dico, quello che anche banalmente provo, faccio, penso, ma anche perché il Marco che esiste adesso sta per essere messo alla prova e qualsiasi sarà l'esito di tutto questo ne uscirò cambiato, diverso, in bene o in peggio a seconda di come andrà.
Ma non importa, perché sono le 5:30 e sono in anticipo, proprio come piace a me.
Esco dalla macchina, afferro il mio zainetto e chiudo la portiera con gentilezza, perché non ho più bisogno di correre: indosso lo zaino e incomincio a camminare su questa collina che è ripida, molto, e che diventa difficile da scalare perché le scarpe che ho indossato non sono adatte, anche se non mi importa perché volevo vestirmi elegante a tutti i costi.
Rischio di cadere un paio di volte faccia a terra e le mie mani si graffiano perché atterro su delle pietre appuntite, ma non è importante perché alla fine ci riesco: sono arrivato in cima, e sono anche in orario.
Apro il mio zaino e prendo questa tovaglia, che apro e che appoggio a terra perché voglio sedermi, godermi il momento e non pensare a niente se non a quello che sono e a quello che sto provando adesso, mentre osservo l'orizzonte in camicia, cravatta, pantaloni, scarpe e orologio della Casio.
Ho i brividi, quindi mi metto addosso la giacca che mi sono portato appresso: a volte sono proprio previdente.
Manca poco ed incomincio ad innervosirmi perché l'attesa mi snerva: per smorzare il tutto tiro fuori il mio accendino giallo e lo roteo tra le dita perché è il mio antistress preferito, oltre che il mio portafortuna personale.
Sono le 5:35, mancano 4 minuti.
Decido di prendere il telefono e di rispondere a quella buonanotte a cui non ho risposto: scrivo semplicemente "buongiorno" anche se, quando lo faccio, mi sento pesante e infantile, nelle mie intenzioni.
Ogni volta che le scrivo buongiorno è come se un pezzo di cuore andasse via, non mi so spiegare il perché ma non importa, perché non sa che sono qui e forse non lo saprà mai.
Il sole spunta, sono le 5:39.
È l'alba, e uno dei raggi rossastri attraversa una delle lenti dei miei occhiali e mi colpisce negli occhi, proprio come le luci a led stanotte, quando mi sono svegliato di colpo.
Sono qui, sto vedendo l'alba e questo mi basta e mi commuovo per questo, tanto: incomincio a piangere e a starnutire, ma non è importante: sono venuto solo per incontrarmi, l'ho fatto, e ne sono felice.
Resto lì per un po', fino a quando non ricevo un "buongiorno", da parte sua.
"Che fine hai fatto ieri?"
"Mi sono addormentato".
"Sei sempre il solito".
"Ti sono mancato o sbaglio? Rido. Torno subito"
"Dove scappi?"
"Secondo te?"
"In bagno"
"Esatto"
Forse è meglio che io me ne vada.
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La libreria di giochi da slot machine Cosmic Spins è alimentata da Betable e presenta centinaia di giochi da slot machine di NetEnt e Play’n GO. Se amano i video e le slot jackpot allora i giocatori ameranno titoli come Steam Tower, Gonzo’s Quest, Queen’s Day Tilt, Golden Grimoire, Blackjack, Aztec Idols, Rex furioso, Divine Fortune, Berryburst, Hugo Goal, Planet Fortune, Planet of the Apes, Blood Suckers, e molti altri. Per i giocatori che preferiscono scommettere sui giochi da tavolo, il slot machine online offre opzioni come la Roulette Europea, Blackjack, Beat Me, Baccarat Professional Series, American Roulette, Mini Baccarat, Pai Gow Poker, Pontoon, French Roulette, Oasis Poker e Caribbean Stud Poker tra gli altri. Nel caso in cui stiano cercando titoli di dealer dal vivo, questi sono disponibili tramite il NetEnt Live Slot Machine.
Servizio clienti
Cosmic Spins capisce che i suoi giocatori si aspettano sempre un’eccellente assistenza clienti. Per questo motivo, il slot machine online ha un certo numero di canali di supporto che i giocatori possono utilizzare per mettersi in contatto con il personale di supporto. I giocatori che sentono di aver bisogno di assistenza immediata possono facilmente ottenere aiuto utilizzando la funzione Live Chat del slot machine online. Va notato però che questo canale di supporto è disponibile solo dalle 8:00am alle 10:00PM GMT. Nel caso in cui la Live Chat sia fuori orario, i giocatori possono inviare i dettagli delle loro preoccupazioni al team di supporto attraverso il modulo Invia messaggio nella scheda Contattaci della pagina di supporto del slot machine online. In caso contrario, è anche possibile inviare il messaggio direttamente a questo indirizzo email: [email protected].
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TERRA PIATTA, TERRA SFERICA O TERRA CONVESSA?
Per il contribuente, mi pare irrilevante (e fuorviante) stare a discutere "sul sesso degli angeli", sul numero delle stelle nel cielo o sulla quantità di acqua negli oceani, per due motivi: A) perché sono argomenti che non toccano il portafogli; B) perché sono questioni sulle quali si può andare avanti a teorizzare e discutere all'infinito, senza combinare niente di utile alla sopravvivenza. Dire che i finti viaggi spaziali e i finti satelliti della vera tecnologia di calcolo GPS sono una truffa, è denuncia querela da parte dell'interessato. Infatti, la truffa dell'ASI (NI), dell'ESA e della NASA in occidente, come le altre in oriente, sono trucchi milionari che erodono il patrimonio netto e la produzione delle comunità produttive. Ogni volta che si pubblica un servizio sulla tacchina dello spazio Samantha Cretinetti, si commettono una serie di delitti già in origine, perché, anche la simulazione e tutte le fabbricazioni del cinematografo spicciolo e dell'arma aeronautica, sono ore di lavoro e capitale sottratto alla produzione attiva della comunità che lavora e paga ingiustificatamente le imposte. Ovviamente i conti più grassi tornano quando i commedianti dell'arma aeronautica, quelli dell'ASI (NI) e i loro compari internazionali, incassano le loro periodiche fatture, in concorso con tutta l'inutile produzione indotta dei materiali e delle parti di macchina che si fabbricano per le simulazioni. Quando però si associa alla denuncia di questa truffa internazionale aggravata il dibattito sulla Terra piatta, si è in presenza di un trucco che non è solo semantico. Chi lo promuove vuole dire qualcosa di simile a questo: - "hai visto chi è che si querela dei finti viaggi spaziali? Lo stesso che ha la visione di prima di Colombo, quando tutti credevano che la Terra fosse piatta." - Da lì in poi, nasce un altro trucco della tecnica hegeliana, quello del "lei è favorevole o contrario", e tutti iniziano a dibattere sulla forma della Terra, perdendo di vista il problema principale (quello che tocca il portafogli) e pare che la storia dei finti viaggi spaziali sia stata inventata solo per sostenere la tesi che la Terra è piatta e non per denunciare una truffa ai danni dello stato (che in verità è solo truffa ai danni del contribuente). Il depistaggio si fa deviando il pensiero verso falsi bersagli molteplici: ridicolizzare chi denuncia i finti viaggi spaziali, far credere che i finti viaggi spaziali siano denunciati per sostenere che la Terra è piatta, far perdere tempo al contribuenti in inutili discussioni, riempire le pagine scritte d'idiozie, e la rete di video per intrattenere....si può andare avanti per anni con questo elenco, come si può andare avanti per anni a discutere sul firmamento. Invece bisogna fermarsi a considerare non solo ciò di cui si ha prova empirica ma anche e soprattutto ciò che tocca il portafogli.
DEI SEGNALI DEL SISTEMA DI CALCOLO GPS
A prescindere dalla forma della Terra, però, se i satelliti non sono nello spazio, da dove provengono i segnali per il sistema di calcolo GPS? Dalle mie verifiche cavo che il sistema di calcolo GPS è abbastanza attendibile; addirittura un ingegnere pilota relativamente intelligente mi ha detto che lo usa sempre in volo e che è molto preciso (ne ha tre, due sul velivolo e uno nello smart-phone, però non ha voluto rispondermi circa il limite massimo dell'altitudine che può tenere per poter fare chiamate con il suo smart-phone, sul quale calcola anche il suo terzo GPS). Perciò non tenterò di discutere sul se funziona oppure no. La cosa importante è stabilire da dove provengono i segnali che riceve, perché, nell'esempio del sistema GPS dello smart-phone, che rimane molto meno preciso delle triangolazioni dei ripetitori e delle celle telefoniche installate dalle compagnie dei telefoni, si ha comunque un sistema di ricezione radio autonomo rispetto al sistema di triangolazione dei telefoni cellulari. Quello dei cellulari è più preciso, quello del GPS prende i dati anche da quelli, quando può, ma se il telefono non si aggancia ad una cella, ad un ROUTER WiFi, o se non c'è copertura telefonica, il GPS dovrebbe lo stesso essere in grado di fare i suoi calcoli, autonomamente. Tanto è vero questo che gli "esperti" dicono che il GPS funziona pure dove non c'è segnale radio di copertura telefonica ma "funziona meglio quando lavora contemporaneamente ai sistemi e ai sensori dello smart-phone, collegati sistematicamente in rete, via telefono o via internet, e ai processori del colosso multinazionale Google. Allora, da dove riceve i segnali radio il sistema di calcolo GPS?
COSA DICONO CERTI FORNITORI DEI PRODOTTI E SERVIZI GPS
Raccontano i tecnici di TOPCON (1) che: "Il primo satellite fu lanciato nel 1978 e nel corso degli anni ottanta venne messa in orbita l’intera costellazione formata da 24 satelliti, il numero minimo che il Governo degli Stati Uniti si impegna a mantenere operativi. Per sapere tutto sul sistema GPS: www.gps.gov"
Naturalmente, secondo me, queste sono balle e, secondo il loro ragionamento, ci sarebbero altrettanti sistemi satellitari gestiti da Russia, Unione Europea e Cina comunista, ciascuno dei quali manovrerebbe 24-35 satelliti nello spazio, sconosciuto e nerissimo. Poi spiegano che:
"il GPS, o meglio il GNSS (Global Navigation Satellite System), e le stazioni totali, sono strumenti di misura che vengono ordinariamente impiegati con l’obiettivo di posizionare punti della superficie fisica della Terra, determinandone le coordinate.
Il GPS è un misuratore delle componenti di un vettore nello spazio tridimensionale (vettore che congiunge due punti della superficie fisica della Terra), da cui è possibile ricavarne l’orientamento e la lunghezza, mentre la stazione totale è un sensore in grado di effettuare misure di angoli (orizzontali e verticali) e distanze.
Si tratta di misuratori di posizioni relative. Entrambi infatti, per la determinazione delle coordinate dei punti oggetto del rilievo, necessitano di dati supplementari, delle coordinate di almeno uno dei punti in cui si trovano gli strumenti utilizzati nella misura.
In altre parole, le misure effettuate non contengono informazioni sufficienti al calcolo della posizione assoluta (cioè in un sistema di riferimento dato) dei punti oggetto del rilievo."
E ancora:
"..la necessità di avere costantemente una buona visibilità del cielo (ove orbitano i satelliti GNSS che trasmettono i loro segnali necessari alla misura), limita l’utilizzo degli strumenti GNSS nelle zone boscose, in presenza di alti fabbricati e nelle cave profonde."
Un problema simile a questo si ha con i radar collocati in prossimità di montagne. In certi aeroporti, come quello prossimo al golfo del Messico e quello di Reggio Calabria, il radar non si usa proprio. Sul golfo del Messico pare che non si usi perché le montagne vicine impediscono di ricevere una parte dei segnali di rimando dagli aeroplani e perciò è considerato inutile, a Reggio pare che il radar non ci sia perché "siamo un paese sottosviluppato" e però mi pare che anche per atterrare su quell'aeroporto: "l' avvicinamento degli aerei alla pista avviene attraverso un percorso curvilineo e questo a causa della vicina conformazione montuosa ma anche per l' incontrollato abusivismo edilizio, che costringe i piloti ad una difficile manovra." (2)
Il problema dei segnali radio che passano attraverso i muri ma non attraverso le montagne e i boschi troppo fitti, è un problema di tutti i segnali radio, mi pare di capire, e non solo di quelli che si racconta provengano dallo spazio.
Il sito ufficiale di quell'agenzia statunitense che eroga il servizio GPS, in poche parole, afferma che:
"..il servizio GPS è un servizio pubblico erogato dal governo statunitense che offre all'utilizzatore posizione, navigazione e tempo (orario). Il sistema è diviso in tre segmenti, quello dello spazio, quello del controllo e quello dell'utilizzatore. Il segmento dello spazio è gestito dall'aviazione militare loro. Il sistema di controllo ha invece una pagina di spiegazione che inizia con questo titolo:
"Satellite Simulator Control Working Group" SSCWG (3)
"Il SSCWG dispensa informazioni circa i simulatori GPS, discute gli impegni presenti e futuri in rapporto ai simulatori GPS e discute pure i futuri sviluppi dei simulatori GPS".
Ripete tre volte nella stessa frase d'apertura il termine "simulatori GPS", dopo aver usato il termine anche nel titolo. Ci saranno certamente ragioni scientifiche che a me sfuggono, per ripetere "simulatore" anziché "dispositivo di ricezione di veri segnali radio provenienti dallo spazio".
Se prendiamo il solo caso italiano, troviamo NetGEO (4), che a fondo pagina si firma come TOPCON e che afferma di essere "l'unica Rete Nazionale GPS+GLONASS". Se NetGEO è l'unica rete nazionale GPS+GLONASS, non serve cercarne di altre. Una rete nazionale di che cosa, esattamente, visto che tutti credono alla storia dei segnali radio provenienti direttamente dallo spazio? Non potrebbe essere una rete di stazioni riceventi-trasmittenti e/o di ripetitori?
Note
1) GPS o STAZIONE TOTALE? COSA ACQUISTARE?
https://www.topconpositioning.com/it-it/insights/gps-o-stazione-totale-cosa-acquistare
2) Articolo degli analfabeti de la Repubblica su alcuni aeroporti italiani.
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/01/05/scali-rischio.html
3) Satellite Simulator Control Working Group, SSCWG
https://www.gps.gov/technical/sscwg/
4) NetGEO, "l'unica Rete Nazionale GPS+GLONASS"
http://www.netgeo.it/
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Realtà Aumentata nei Beni Culturali
See on Scoop.it - Augmented World
Sentiamo spesso parlare di “Realtà Virtuale” e ”Realtà Aumentata”, siamo abituati a vederne le immense potenzialità applicate nei musei di tutto mondo dove il Bene Culturale viene ricostruito come era ai tempi in cui veniva utilizzato e può essere visitato percorrendolo e «interagendo virtualmente con esso, come se una macchina del tempo ci avesse proiettato in un passato assai remoto». Bisogna sapere che questo “viaggio”, necessita di dispositivi che consentono di guardare con un’altra visione «per vedere quello che normalmente non si vede, per sentire suoni, odori, emozioni, sensazioni tattili difficilmente avvertibili». Si tratta, quindi, di proiettarsi in un’altra realtà o in una “Realtà Aumentata” che potrebbe rappresentare una grande metafora spirituale, la possibilità, cioè, di «acuire la percezione del terzo Occhio che tutto vede, sente e immagina, che è in grado di leggere ogni elemento della realtà tangibile e intangibile, scoprendo le infinite capacità interiori di tutti gli individui». Mi piace pensare che «i dispositivi di ‘Realtà Virtuale’ e ‘Realtà Aumentata’ non fanno altro che sfruttare dei meccanismi del cervello e aiutano l’uomo ad immaginare quello che spesso non riesce a vedere, a guardare quello che altri percepiscono, o a vedere realtà di epoche diverse che altri hanno vissuto». Bisogna sapere che i dispositivi necessari per effettuare questo viaggio possono essere un «visore, ossia dei semplici occhiali o una sorta di casco che consentono di far scomparire il mondo reale dell’utilizzatore per proiettarlo, attraverso degli schermi speciali, in un ambiente del tutto virtuale o in uno reale dove siano stati introdotti dei nuovi elementi per accrescerne alcune caratteristiche», un auricolare per sentire suoni, rumori e musiche, un paio di guanti, del tipo wired gloves, con i quali effettuare movimenti e digitare comandi sulle tastiere virtuali, una tuta speciale da indossare, la cyber-tuta, per simulare il senso del tatto. Quando abbiamo a che fare con occhiali, tute, auricolari e guanti si fa riferimento ad una “Realtà Virtuale Immersiva” (o RVI), se ci troviamo, invece, davanti al monitor di un Computer siamo davanti a una Realtà Virtuale non Immersiva, dove l’utilizzatore fa ingresso nel mondo tridimensionale attraverso appositi dispositivi con cui controlla quanto visualizzato sullo schermo. È chiaro che nel primo caso l’utente avrà un maggior grado di coinvolgimento essendo partecipe di quello che accade quasi fisicamente. Che differenza c’è, quindi, tra la “Realtà Virtuale” e la “Realtà Aumentata”? Nel primo caso viene simulata una realtà effettiva, si può navigare e muoversi in tempo reale in ambientazioni fotorealistiche e interagire con gli oggetti in esse presenti. Nel secondo caso (Augmented Reality), avviene una specie di «mescolanza tra la percezione della realtà circostante e le immagini che vengono generate da un Personal Computer, allo scopo di fornire all’utente informazioni aggiuntive mentre si muove e interagisce con l’ambiente effettivo che lo circonda». Fatte queste premesse fondamentali tratte dal libro scritto a quattro mani con mio fratello Maurizio, Ingegneria Elevatoᵑ - Ingegneria del Futuro o Futuro dell’Ingegneria?, facciamo ora riferimento alla “Realtà Aumentata” che fornisce la possibilità di sovrapporre contenuti digitali – suoni, grafica, video o altre interfacce – al mondo reale. Restringendo il campo al Turismo e ai Patrimoni Culturali abbiamo intervistato il Dottor Mirco Compagno, Augmented Reality Architect and UX Designer di THE ROUND società operante nel settore delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione". Nel 2013, quando Google ha avviato il programma di ricerca per creare un paio di occhiali dotati di “Realtà Aumentata”, i Google Glass, le aspettative di successo erano enormi, ma il progetto finì per fallire. Il mercato attuale è più maturo di allora? Oggi il mercato è attivo nei settori più disparati, dai giochi al cinema, dalla musica ai Beni Culturali e si sta aprendo anche al campo Turistico. Con l’evoluzione esponenziale delle tecnologie, la “Realtà Aumentata” sta prendendo sempre più piede e gli esperti sono convinti che proprio il 2017 sarà l’anno della svolta, di diffusione più capillare nei mercati, tra i quali quello italiano. Essa permette di aggiungere, infatti, informazioni e contenuti digitali al contesto reale che ci circonda e che stiamo osservando in un dato momento. Questo fa sì che l’esperienza vissuta venga arricchita di informazioni e di contenuti, anche visivi, che ne aumentano la percezione sia intellettiva che emotiva. In pratica, è possibile fruire di una esperienza ‘immersiva’ senza tuttavia perdere il contatto con l’ambiente reale che ci circonda aggiungendo informazioni, suscitando emozioni, sollecitando la nostra memoria e l’apprendimento senza tuttavia condurci in un mondo virtuale – prerogativa questa della “Realtà Virtuale”. Quale ausilio può fornire, quindi, questa tecnologia al Turismo e alla conoscenza dei Patrimoni Culturali? È noto che le migliori proposte turistiche in grado di aumentare la permanenza del turista in un dato luogo, sono quelle che consentono agli utenti di entrare in stretto contatto con la realtà territoriale che visitano, in tutti i diversi aspetti della cultura, delle arti, delle tradizioni, anche eno-gastronomiche, del paesaggio, del folclore. Il Turismo si trasforma così da mera visita ad esperienza ‘immersiva’ nel contesto locale e territoriale di permanenza. Tutto questo richiede ovviamente una strategia atta a potenziare tutti i servizi turistici, dall’accoglienza all’accessibilità e raggiungibilità dei luoghi. E necessita anche di azioni e servizi che incrementino la sostenibilità, con l’obiettivo di incentivare le presenze nei diversi status sociali e al contempo ridurre i costi degli esercenti dei servizi al Turismo. In tali scenari le applicazioni della “Realtà Aumentata” possono giocare un ruolo fondamentale, di grande aiuto nella promozione, organizzazione, gestione, incentivazione del Turismo e di fruizione. Può farci degli esempi di applicazione di questa tecnologia al settore turistico? Prendiamo ad esempio la fruizione di opere d’arte. Grazie alla “Realtà Aumentata” è possibile incrementare il contenuto informativo per i visitatori che potranno accedere ai diversi aspetti che la caratterizzano: artistici, storici, ambientali, valoriali. Tutto ciò può essere fruito con semplicità, grazie alle più diffuse tecnologie, senza togliere valore al prezioso lavoro delle guide turistiche. Sarà possibile, inoltre, operare una ricostruzione del contesto storico e ambientale di opere antiche o addirittura preistoriche, ben più efficace rispetto alla semplice immaginazione, dettata dalle spiegazioni di una guida. È ovvio che questo consente anche di colmare e superare le difficoltà linguistiche di gruppi eterogenei di turisti provenienti da nazioni diverse. In tal caso disporre di ‘App’ tradotte in più lingue selezionabili dal visitatore, consente alle guide di ottimizzare il proprio lavoro e ai fruitori di poter accedere con maggiore dinamismo ai siti, senza dovere sottostare a rigide schedulazioni di orario. Sarà, infine, possibile migliorare la segnalazione dei percorsi di visita e/o degli oggetti in esposizione, a beneficio della comprensione del “cosa si sta guardando”. In un futuro non troppo lontano, quindi, questa tecnologia sarà in grado di effettuare un percorso di visita con la competenza di una guida turistica? Mi preme far rilevare che la disponibilità di applicazioni in “Realtà Aumentata” per la fruizione di Beni Culturali non è intesa come sostitutiva o inibitoria del lavoro delle guide turistiche, ma come un prezioso strumento di affiancamento al loro lavoro o, nei casi in cui per qualsiasi motivo non sia possibile disporre di un operatore-guida, come un potenziamento dell’offerta turistica. Tali applicazioni possono intervenire efficacemente in tutti i diversi processi di governo, promozione, gestione e di controllo inerenti al settore del Turismo e dei Patrimoni Culturali. Possiamo fare qualche esempio? Le applicazioni in “Realtà Aumentata” possono essere utilizzate per la promozione e il marketing: ci sono esempi di “chioschi” o “totem” in “Realtà Aumentata” da collocare in location espositive o in punti strategici per l’attrazione e la comunicazione ai turisti; ma si possono anche creare cataloghi, pubblicazioni e cartoline in “Realtà Aumentata”. Un’altra interessante applicazione è possibile nell’ambito della mobilità e dell’accessibilità come utile ausilio per governare e calibrare i flussi, orientare nei percorsi e nei mezzi e servizi disponibili. Non dimentichiamo che spesso i capitali a disposizione sono limitati, pertanto applicazioni in “Realtà Aumentata” possono essere utilizzate per la sostenibilità (economica) segnalando le diverse offerte di servizi al turista, sul territorio, differenziate per prezzo e tipologia di servizi. A questo possiamo aggiungere azioni di supporto ai processi di programmazione, governo e controllo che, grazie all’integrazione e interazione della “Realtà Aumentata” con altri strumenti tecnologici, saranno in grado di operare un vero cambiamento al concepimento ed attuazione dei piani strategici per il turismo. Voglio far rilevare, ad ogni modo, che è opportuno adottare metodi e strumenti per la fruizione delle applicazioni in “Realtà Aumentata” che tendano ad essere di facile uso e comprensione, che siano accessibili a tutti (sia dal punto di vista strumentale che economico), che forniscano attenzione alla qualità ed affidabilità delle informazioni rese. Queste sfide sono già in atto e altri stimoli ci aspettano nel prossimo futuro. Agli uomini sono sempre piaciute le sfide, l’evoluzione è qualcosa di inarrestabile. Eppure le verità fondamentali sono sempre state il nocciolo della saggezza di ogni popolo, ogni evoluzione le contiene e le esalta, dopo ulteriori conoscenze si può guardare ad esse con rinnovata curiosità. Credo che anche le tecnologie digitali più spinte sfruttino sempre l’osservazione di ciò che avviene nel cervello dell’Essere Umano. L’Uomo è il bio-computer più perfetto che esista, in grado di entrare in connessione Wireless con i suoi simili, con il mondo animale e vegetale e perfino con le cose inanimate. La sua immaginazione è lo strumento che gli consente di creare nuove idee, di elaborare nuove forme, di rinnovare ogni oggetto. E la “Realtà Aumentata” è quello strumento che costruisce nuove realtà possibili a partire da quella che conosciamo… o che crediamo di conoscere…
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Google Marketing Next: tutte le novità
Le novità del Google Marketing Next in un articolo. Google Attribution Google introduce Google Attribution, un nuovo tool per l’attribution modeling grazie al quale è possibile elaborare più modelli di attribuzione a partire dai dati di Google AdWords, Google Analytics e Double Click. Machine learning Ormai machine learning analizza trilioni di query di ricerca e attività degli utenti su milioni di siti, è in grado di capire sempre più a fondo gli intenti di acquisto degli utenti. Per gli inserzionisti Google AdWords l’output di machine learning si concentra nei segmenti in-market, sempre più raffinati. La novità? Che Google ha introdotto i segmenti in-market anche in rete di ricerca. AMP Ads Sono annunci AMP per inserzionisti Google AdWords, che assicurano una esperienza di navigazione più rapida, con tempi di caricamento delle pagine AMP fino a 5 secondi più veloci rispetto alle pagine tradizionali. Nel video qui sotto vedi la differenza di caricamento tra una pagina AMP e una landing page mobile tradizionale. Infatti dai dati Google il 53% degli utenti abbandona una pagina mobile se tarda più di 3 secondi a caricarsi. Inoltre ogni secondo di ritardo nel caricamento della pagina comporta una perdita del 20% delle conversioni. Qui il link per iscriversi alla beta di AMP Ads .
Nuova interfaccia La nuova interfaccia di Google AdWords rende più facile la creazione di campagne pubblicitarie in rete display, anche se non ancora aperta a tutti gli inserzionisti, e anche se non tutte le funzioni disponibili nell’interfaccia tradizionale sono state abilitate. Mondo local I dati mostrati da Google dicono che su 10 proprietari di smartphone che acquistano in un negozio, ben 7 hanno eseguito un’azione precedente sul loro telefono prima dell’acquisto. Chi ha cliccato un annuncio Google in rete di ricerca prima di visitare un negozio ha il 25% di probabilità in più di acquistare qualcosa durante la visita, spendendo oltre al 10% in più rispetto alla media degli acquisti. Tra le novità presentate ci sono Promoted Places e local inventory ads. Promoted Places Permette di fare brand awareness direttamente dalle mappe di Google. Una volta cliccato il logo del business, l’utente vede le promozioni in store o i nuovi prodotti e servizi che si è scelto di promuovere.
Local inventory ads Tradotta in italiano come “Vetrina locale”, permette di mostrare annunci pubblicitari quando vengono fatte ricerche nelle vicinanze del tuo store. Facendo click sull’annuncio si atterra in una pagina hostata su Google con le informazioni sugli articoli e altre relative allo store come indirizzo e orario di apertura. Click to Post
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Riaperto al pubblico Wat Arun: una nuova “alba” per il “Tempio del sole che sorge”
Finalmente, dopo oltre 4 anni di lavori e 2 di chiusura al pubblico, Wat Arun (ว��ดอรุณ) è tornato al suo antico splendore e ha riaperto i cancelli ai visitatori.
Da allora ci sono passato davanti tante volte e in tanti mi avete chiesto se fosse di nuovo possibile poter visitare la struttura centrale. Alcune sere fa, in battello, finalmente un Wat Arun libero dalle impalcature. Troppo forte il richiamo a tornare in questo che, non solo a parer mio, è uno dei templi più belli di Bangkok!
Oggi lo stucco sostituisce gran parte del cemento utilizzato in precedenti ristrutturazioni e l’intonaco bianco rende i 5 prang incredibilmente brillanti. Sembra impossibile che questo tempio abbia oltre 360 anni (non ci sono date certe ma la sua presenza è documentata in mappe francesi di Bangkok del 1656)!
Visto il tasso d’inquinamento di Bangkok probabilmente non passerà molto tempo prima che il bianco inizi ad essere grigio, facendo così sopire le numerose critiche che hanno accompagnato la riapertura del tempio per molti troppo bianco. Io confesso di essermi emozionato: la luce calda del tardo pomeriggio, il fatto che non ci fosse tanta gente, la presenza insieme a me delle persone care, la benedizione ricevuta dal monaco hanno fatto sì che questa visita fosse particolarmente bella. Lascio alle immagini qui sotto il compito di farvi venire voglia di entrare a Wat Arun!
Galleria fotografica di Wat Arun: cliccare sulle foto per ingrandirle
Informazioni su Wat Arun:
Nome: Wat Arun Ratchawararam Ratchawaramahawihan (in tailandese วัดอรุณราชวราราม ราชวรมหาวิหาร) o più comunemente Wat Arun; il nome significa Tempio del Sole che Sorge (o Tempio dell’Alba) e deriva dal Dio indù Aruna, personificazione del bagliore rossastro del sole all’alba.
Storia: Wat Arun venne costruito durante il Regno di Ayutthaya ed era all’epoca conosciuto con il nome di Wat Makok – dal nome del villaggio in cui sorgeva. Il tempio ospitò il Buddha di Smeraldo prima che venisse trasferito al Grand Palace nel 1785, dopo di che per circa un secolo rimase praticamente abbandonato. Durante il regno di Re Chulalongkorn tornò al suo antico splendore e subì un ulteriore imponente restauro prima del bicentenario di Bangkok capitale della Thailandia (1980).
Architettura: la caratteristica principale di Wat Arun è la torre principale in stile Khmer (prang centrale) alta 86 metri; i 5 prang sono decorati con conchiglie e frammenti di porcellana che danno al tempio una colorazione particolare soprattutto all’alba e al tramonto; prang centrale è sormontato da un tridente a sette punte, detto secondo molte fonti “Tridente di Shiva”. Merita una visita anche la sala dell’ordinazione che si trova a fianco del complesso della stupa.
Visita:
Ingresso: 50 baht per gli stranieri, gratuito per i tailandesi
Orario: tutti i giorni dalle 8.30 alle 17.30
Posizione: à cliccare qui per la posizione su Google Map
Consigli pratici:
Per quando (e se) sarà possibile salire la ripida scalinata: i gradini sono particolarmente stretti e ripidi per cui, onde evitare vertigini e cadute, è preferibile scendere senza guardare in basso, come se si stesse salendo
Wat Arun è molto bello anche ammirato da lontano; in passato ho consigliato 2 roof top bar non lontani da Wat Pho da cui ammirare Wat Arun: cliccando sui link potete trovare maggiori dettagli su Eagle Nest e Sala Rattanakosin
I lavori non sono ancora del tutto completati e, secondo quanto rilasciato dal TAT (Tourism Autority of Thailand), dal 27 dicembre 2017 al 5 gennaio 2018 Wat Arun ospiterà una serie di eventi e mostre per celebrarne la riapertura ufficiale: chissà che non si potrà di nuovo salire!
Tutto è imperfetto, non c’è tramonto così bello da non poterlo essere di più. Fernando Pessoa
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Firenze: Gli affreschi delle cappelle Medici e Pazzi
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Firenze: Gli affreschi delle cappelle Medici e Pazzi
Qual’è la ragione che può spingere due grandi famiglie fiorentine, i Medici e i Pazzi, a commissionare due opere artistiche per le proprie cappelle perfettamente uguali? La dimensione è leggermente diversa ma è perfettamente proporzionata.
Stiamo parlando della Sagrestia Vecchia nella basilica di San Lorenzo a Firenze e della Cappella Pazzi nel primo chiostro della basilica di Santa Croce sempre a Firenze. Ambedue capolavori architettonici di Filippo Brunelleschi.
La cappella Pazzi nella basilica di Santa Croce a Firenze
La Sagrestia Vecchia, nella basilica di San Lorenzo di Firenze
Una mappa stellare è univoca, rappresenta una determinata data, ora e luogo d’osservazione, e i meridiani contano, rappresentano una posizione rispetto ad un’altra. Entrambe le volte delle cappelle raffigurano un emisfero celeste boreale con precisi riferimenti astronomici, la cosa incredibile è che entrambe fanno riferimento esattamente allo stesso emisfero, nella stessa data, nella stessa ora e con un punto di osservazione leggerissimamente diverso. Una cosa differenzia l’affresco dei Medici da quello dei Pazzi, la presenza di un meridiano.
Affresco Cappella Medici
Per convenienza usiamo la volta celeste della Sagrestia Vecchia che è stata restaurata e ci offre un’immagine migliore.Le interpretazioni sono state più di una, molti gli studiosi che si sono impegnati per risolvere questo enigma fiorentino; enigma centrato più che nell’arte pittorica nello scopo della rappresentazione scelta.
Affresco Cappella Pazzi
Osservando la volta vediamo che riporta varie costellazioni. In evidenza nella zona centrale la costellazione del cancro, alla destra la costellazione dei gemelli e ancora più a destra la costellazione del toro. Il meridiano indicato corrisponde ad una visione da sud. Due elementi sono certi, la posizione del sole fra cancro e gemelli e la luna in toro. Si può inoltre desumere la presenza di Giove in ariete e di Venere alla sinistra del cancro. Desumere perchè non vi è certezza sui nomi dei pianeti ne che si tratti di pianeti.
Affresco della volta celeste – Cappella Sagrestia Vecchia (attribuito a Pesello)
Una prima interpretazione viene da Aby Warburg il quale ipotizzò che l’affresco fosse raffigurante la data corrispondente alla consacrazione dell’altare della basilica di San Lorenzo, cerimonia che si è svolta il 9 luglio 1422. Questa teoria è oggi accantonata ma abbiamo voluto verificarla comunque.
Teoria Aby Warburg riportata su Stellarium
Attraverso il programma Stellarium abbiamo impostato le coordinate della Sagrestia Vecchia come punto di osservazione, circa 43° N 46′ 29.05″ e 11° E 15′ 16.32″ e la data del 9 luglio del 1422 corrispondente alla consacrazione dell’altare e abbiamo ottenendo la volta celeste corrispondente. Scorrendo le ore si individua le 10.30 del mattino come orario con la volta celeste più somigliante. E’ evidente che la teoria non corrisponde all’immagine. Osserviamo che il sole non si pone fra cancro e gemelli ma è più spostato verso il cancro e soprattutto la luna non è in toro. Il programma lavora automaticamente in calendario giuliano in uso all’epoca.
La teoria di Aby Warburgi non è una teoria accettabile. Inoltre che motivo aveva la famiglia Pazzi di riprodurre quel momento storico legato prettamente all’altare della Sagrestia Vecchia ed alla famiglia Medici? Esaltare la consacrazione dell’altare di un altro edificio con lo stesso affresco altrove e 20 anni dopo, assurdo.
Una seconda ipotesi postulata si rifà alla grande passione della famiglia Medici per l’astrologia. Al centro del mistero la nascita di un bimbo. Il committente dell’opera, Cosimo de’ Medici, potrebbe aver voluto rendere immortale la data di nascita del figlio primogenito Piero. Una teoria interessante da verificare. Il pargolo è nato il 16 luglio 1416, astrologicamente fra Cancro e Gemelli. Impostati i parametri con data e coordinate fiorentine la volta stellata ci appare su stellarium.
Non vi inserisco la mappa stellare, ma decisamente non è corrispondente, la luna non è in Toro e il sole è quasi al davanti del cancro. Venere si pone in gemelli e Giove si è perso chi sa dove. Inoltre che senso avrebbe che i Pazzi riproponessero la duplicazione perfetta di quell’evento? Una nascita nella famiglia Medici? Il mistero deve in qualche maniera coinvolgere le due famiglie, la ragione deve essere super partes.
Un primo studio su base scientifica, da un punto di vista astronomico, è stato condotto da Giuseppe Forti astronomo di Arcetri. L’indagine si è conclusa con l’affermazione che le stelle raffigurate si presentavano proprio secondo la configurazione visibile nel cielo di Firenze il 4 luglio 1442 del calendario giuliano, circa il 13/14 del calendario gregoriano. Viene inoltre indicata l’ora, circa le 10.30 del mattino. Provvediamo ad inserire i dati. Otteniamo sia la Luna in toro sia il Sole fra cancro e gemelli. Gli altri pianeti però non sono proprio corrispondenti Ad esempio Venere che dovrebbe essere secondo l’affresco al davanti del cancro è invece quasi dietro il cancro, e Giove è più sul toro che sull’ariete.
Giuseppe Forti 4 luglio 1442 stellarium
Si suppone in questa ipotesi che l’opera sia da attribuire a Giuliano d’Arrigo detto Pesello (Firenze 1367-1446). Pesello era un esperto nel disegno degli animali e un abile ritrattista ma non aveva la cultura astronomica necessaria per una tale precisione, si crede che fosse stato guidato da un esperto astronomo quale Paolo dal Pozzo Toscanelli (1397-1482).
Dal Pozzo Toscanelli, sarebbe stato l’artefice del disegno che ha poi generato l’affresco. Il Toscanelli dimostra un’abilità incredibile e certifica che le conoscenze astronomiche dell’epoca erano ben più avanzate di quello che la storia ci insegna di quel periodo storico. Fu preciso nel posizionare i pianeti come Venere in cancro o Giove in ariete, la Luna in toro e il Sole fra cancro e gemelli il tutto nell’eclittica delle costellazioni zodiacali.
Devo ribadirlo, guardate la foto sopra e confrontatela con quella generata dal programma, la data indicata da Forti non sembra corrispondere perfettamente, giusta la posizione di Sole e della Luna ma posizione errata di Venere che è dietro al cancro e di Giove che si pone dietro al toro ed infine di Mercurio che si pone sui gemelli ma che non è presente nell’affresco in quella posizione.
Forti non postula nessuna teoria sul “motivo” dell’affresco ma analizza l’affresco solo da un punto di vista scientifico.
Sulla scia dello studio di Forti una teoria viene sviluppata da Isabella Lapi Ballerinicuratrice del restauro della Sacrestia Vecchia. La Ballerini afferma che l’affresco sia un omaggio per la venuta a Firenze di Renato d���Angiò nel 1442, il monarca di Napoli cacciato dall’usurpatore Alfonso d’Aragona. L’evento è stato sicuramente notevole dato che d’Angiò cercava rinforzi militari per riconquistare i propri territori. Da sottolineare che l’ex Monarca di Napoli aveva rapporti sia con i Medici che con i Pazzi, questo potrebbe spiegare la cappella duplicata anche se non spiega la differita di 20 anni. La teoria però non spiega perchè spendere tempo e denaro per onorare una visita, si importante, ma che poteva essere trasmessa ai posteri con un normale affresco che coinvolgesse la famiglia Medici e Renato d’Angiò. Oppure anche un classico ritratto. Quale poteva essere il motivo per occultare in un criptico affresco la visita di un monarca che era evidentemente pubblica?
Inoltre ricordiamo che non vi è una perfetta corrispondenza della mappa stellare sussistono delle differenze.
Ancora un’ipotesi è che la famiglia Medici volesse celebrare la riunificazione delle Chiese d’Occidente e d’Oriente, evento fortemente voluto da Cosimo il quale fece di tutto per spostare il Concilio da Ferrara a Firenze. Infatti la firma del decreto “Laetentur coeli” avvenne il 6 luglio 1439 a Firenze e si raggiunse la completa riunificazione tra greci e latini. Al concilio parteciparono esponenti di grande prestigio per l’epoca da religiosi ad artisti, da architetti ad astronomi fra cui anche Paolo del Pozzo Toscanelli.
Attiviamo il programma e impostiamo la nuova data e anche delle nuove coordinate corrispondenti a Santa Maria del Fiore, cioè il duomo di Firenze e sono 43° N 46′ 22.93” e 11° E 15′ 21.11. Da evidenziare che questa minima differenza di coordinate non influenza gran che il risultato.
Incredibilmente si ottiene una rappresentazione della volta celeste molto similare anche se non perfetta rispetto a quella dipinta. Ovviamente abbiamo il Sole fra cancro e gemelli, la Luna in toro, Venere al davanti del cancro anche se spostata molto più verso il leone rispetto all’affresco. Mercurio sulla zampa del leone e in ariete o meglio sotto l’ariete abbiamo un pianeta che non è Giove ma Saturno. Una forzatura è anche Marte posizionato subito dietro il toro che invece nel dipinto non sembra rappresentato. Non la perfezione assoluta, certo, ma una discreta corrispondenza, maggiore di quelle valutate sino ad ora.
Un altro astronomo, sempre di Arcetri, si è misurato con questo mistero aprendo una nuova via interpretativa. Fabrizio Massi analizzando la mappa stellare ha confermato il giorno 4 Luglio del 1442 come giorno rappresentato e per la precisione alle 10:30 del mattino. Masi però esplora una nuova strada. Afferma che la volta rappresentata non è del cielo sopra Firenze ma di un punto d’osservazione diverso e cioè la posizione geografica è da collocare presso Shanhaiguan in Cina. Ci fornisce le coordinate corrispondenti a 40° N 120° E. Queste coordinate, secondo google maps, cadrebbero in acqua, ma poco distante da Shanhaiguan circa a 18,5 km a nord-est. Posizionandosi sulla città di Shanhaiguan le coordinate sono circa 40° N 29″ 119° E 46″.
Shanhaiguan si trova nella Cina orientale ad est di Pechino sulla costa dell’Oceano Pacifico ed è il luogo dove si trova l’antica porta all’impero cinese chiamata Testa del Dragone e dove finisce ad est la grande muraglia cinese gettandosi nell’oceano.
Si sviluppa quindi un’altra teoria che si basa sul fatto che esistono contatti tra Firenze e l’impero cinese. L’affresco omaggerebbe la presenza di una delegazione cinese a Firenze in occasione del Concilio del 1439. Motivi commerciali quindi che però non spiegano ne il doppione omaggio della famiglia Pazzi (poca fantasia da parte dei Pazzi che arrivarono per secondi venti anni dopo?) ne avrebbe senso, come già detto, la data del concilio che non corrisponde alla data su cui concorda anche Fabrizio Massi che ricordiamo è il 4 luglio 1442. Inoltre, ancora, perchè rendere criptici i rapporti pubblici con la delegazione cinese?
Cominciamo la verifica. Impostiamo le coordinate fornite da Massi di Shanhaiguan (meglio quelle precise) e poi le due date possibili, quella sostenuta da Massi e quella del concilio.
Alla data del 4/7/1442 sussiste una corrispondenza, ma si deve cambiare punto d’osservazione ruotando verso ovest e soprattutto per vedere l’ariete e parte del toro si dovrebbe cancellare l’orizzonte, facile sul programma ma meno facile se si fosse realmente sul punto di osservazione. Inoltre la posizione stellare è quasi verticale, molto diversa come osservazione per un uomo inginocchiato ad osservare l’affresco della cappella Medici che appare orizzontale all’osservazione. Immagino che se si volesse riprodurre il corretto punto di osservazione sarebbe bastato orientare l’affresco. Insomma non convince.
Posizione Massi a Shanhaiguan 4 luglio 1442 stellarium
Verificando la data del Concilio 6/7/1439 la prospettiva di osservazione è la stessa di prima.
In entrambi i casi si deve adattare la visione verso ovest, non tenere conto dell’orizzonte e per ovviare a questi due problemi cambiare l’orario di osservazione sino ad ottenere corrispondenze migliori in orari notturni.
Arriva una nuova teoria con la Proff.ssa Sandra Marraghini che studia da tempo questo mistero pitto-astrologico. La sua teoria si sviluppa considerando che la data in oggetto sia il segno zodiacale dell’inizio del Rinascimento.
La Marraghini da una differente opinione anche sull’autore dell’affresco della cappella nella Sagrestia Vecchia che è stata realizzata nel 1440 e attribuita a Giuliano D’Arrigo, detto Pesello. L’opinione della Marraghini è che ha più senso attribuire l’opera a Piero della Francesca che era più avvezzo all’uso di certe tecniche, mentre il Pesello, all’epoca 77enne, era più portato alla ritrattistica.
La teoria che l’affresco testimonierebbe l’inizio del Rinascimento spiegherebbe la nascita di cappelle gemelle eseguite in tempi successivi. Potrebbe spiegare anche il desiderio di immortalare l’inizio di una nuova epoca con un affresco segnatempo. Le domande che ci poniamo sono però molteplici. Per quale ragione renderlo criptico? Ci chiediamo, inoltre, come sapevano all’epoca che era cominciata questa nuova fase storica per come la intendiamo noi oggi? Avrebbe un senso la scelta di rappresentare il cielo fiorentino, città culla del rinascimento, ma perchè scegliere quella data come nuovo inizio di un meraviglioso periodo storico? Quale evento fa da spartiacque?
Sinceramente nessuna delle teorie sino ad ora esposte sembra avere un senso compiuto o da un punto di vista astrologico o da un punto di vista storico. La teoria della firma del Concilio sembra la migliore considerando la vicinanza della volta stellata sopra Firenze rispetto alla volta celeste dell’affresco, anche se le corrispondenze non sono certo perfette.
Una teoria compiuta dovrebbe rispettare i parametri di cui disponiamo.
L’affresco è a Firenze e il punto di osservazione dell’affresco è orientato più o meno verso sud.
L’affresco è stato realizzato dopo il termine dei lavori della Sagrestia Vecchia cioè il dopo il 1428 e prima del 1443 data di termine di tutti gli affreschi.
L’affresco ha due sicure certezze, Il Sole fra cancro e gemelli e la Luna in Toro, sul muso del toro.
Esistono altri, si suppone pianeti, rappresentati sull’affresco (dimensione maggiore rispetto alle stelle) che non possono essere riconosciuti come certi, ne che siano realmente pianeti ne quali siano. Fra tutti i pianeti si suppone si individui Venere fra cancro e leone più spostata verso il cancro.
L’affresco è stato riprodotto 20 anni dopo nella cappella Pazzi.
L’affresco indica un luogo, una data ed un’ora ben precisa.
Potrebbe esistere un’altra ipotesi rispetto a quelle formulate sino ad oggi? Proviamo ad unire alcuni tasselli.
L’idea di Francesco Masi di uscire dal concetto che sia il cielo sopra Firenze è interessante e potrebbe aprire a nuove teorie, cioè testimoniare a Firenze un luogo lontano da Firenze, interessante.
Poniamo per un secondo che si volesse rappresentare una data segreta, conosciuta da pochi eletti in tutto il mondo, anzi da pochi eletti in tutti i continenti allora conosciuti. Una data che avrebbe rivoluzionato geografia e commercio, conoscenze e poteri.
Una data che due famiglie importanti come i Medici e i Pazzi, famiglie che vivevano entrambe a Firenze centro nevralgico del mondo di allora, (ricordiamo cosa era Firenze all’epoca), le poteva distinguere rispetto ad altre. Una data e un luogo che non potevano sbandierare ai quattro venti ma allo stesso tempo ne volevano (dovevano) dare testimonianza segreta per prestigio familiare e potere. Rendere eterna una data e anche un luogo geografico.
Magari un luogo che non era ancora possibile raggiungere dati i mezzi disponibili e le conoscenze del tempo.
I Medici, per primi, testimoniarono la loro conoscenza in pubblico e i Pazzi 20 anni dopo comunicavano ai Medici di conoscere lo stesso segreto. Con una differenza, nella cappella dei Pazzi non sussiste un elemento dirimente. Il meridiano. Spostarsi da un meridiano all’altro significa sostarsi verso est o verso ovest.
Poteva essere la via della seta? Non credo, la Cina non era certo un segreto e il commercio era già attivo e fiorente con l’Asia; sappiamo infatti della presenza di una delegazione cinese a Firenze in occasione del Concilio del 1439.
Una delegazione che sicuramente aveva un rapporto stretto con la famiglia Medici. E se questa delegazione avesse riferito alla famiglia Medici un’informazione di importanza unica per l’epoca?
Introduciamo un nuovo elemento apparso alle cronache recentemente. Zheng He.
Zhen He
L’enorme flotta comandata da Zheng He (317 navi misuranti 130×54 metri ed equipaggiate con 12 vele e un totale di 28.000 soldati a bordo) partì per il primo viaggio e dato il successo riportato fu ordinata una seconda spedizione e poi una terza. In totale furono compiute sette spedizioni tra il 1405 e 1433. Probabilmente Zheng He morì nel viaggio di ritorno della settima spedizione e fu seppellito in mare.Zheng He è un membro della dinastia dei Ming. Un eunuco compagno di giochi del piccolo principe Zhu Di. Quando Zhu Di divenne imperatore della Cina assumendo il nome di Yongle, ordinò nel 1403 la costruzione di una flotta imperiale sia per scopi mercantili sia come flotta da guerra e scopi diplomatici. L’imperatore nominò ammiraglio Zheng He e lo mise al comando di tutta la flotta. L’imperatore Yongle incaricò Zheng He di effettuare spedizioni navali a carattere diplomatico, scientifico e commerciale nei mari occidentali.
Le grandi spedizioni di Zheng He sono un fatto storico, ancora oggi si discute sui limiti raggiunti da queste esplorazioni cinesi.
Uno di questi dubbi riguarda il fatto che Zheng He possa aver per primo raggiunto le Americhe. Non voglio riproporvi tutta la storia e le ipotesi e quindi vi consiglio di leggere questo articolo. Vi dico solo che l’ipotesi di questa scoperta sembra essere avvenuta nella sesta spedizione che va dal 1421 al 1423.
Ora poniamo per un secondo che sia vero, una realtà, l’America è stata scoperta per la prima volta da Zheng He e che una delegazione cinese lo avesse fatto presente alla famiglia Medici fornendo la data e le coordinate di dove i cinesi si erano introdotti nel territorio americano.
Mettiamo giù due date.
Nel 1423 la scoperta dell’America da parte di Zheng He, una delegazione cinese si trova a Firenze nel 1439, La Cappella Medici viene terminata nei suoi affreschi nel 1443, venti anni dopo la volta celeste viene copiata dai Pazzi. Sembrerebbe esserci una continuità storica.
Prendiamo adesso le coordinate fornite da Masi 40°N 120° E e proviamo a mettere un meno davanti al 120, cioè Ovest. Impostandole su maps ci ritroviamo qua:
Se preferite possiamo prendere le coordinate della sagrestia vecchia e cioè 43° N 46′ 29.05″ e 11° E 15′ 16.32″ sostituire Est con Ovest e sottrarre da 120° gli 11° rappresentati per ottenere 109° quindi le coordinate 43° N 46′ 29.05″ e 109° O 15′ 16.32″. Se le riportate su maps vi troverete circa nello stesso posto anche se più a nord di 3°. L’immagine generata dal programma stellarium non camibirà molto.
Proviamo a inserire le coordinate nel programma stellarium e a giocare percorrendo le date dal 1421 al 1423 ed esattamente alla data 3 Luglio 1423, esattamente alle 19.30, abbiamo rappresentata questa volta celeste.
La Luna è esattamente sotto il muso del toro, il Sole fra cancro e gemelli e Venere al davanti del cancro.
Con le coordinate della Sagrestia Vecchia spostate ad ovest, la situazione non cambia, l’immagine è praticamente la stessa.
Una notizia da mantenere segreta per organizzare una spedizione pronta a colonizzare?
I Medici a Firenze erano stati messi a conoscenza di questa notizia e non potendo divulgarla ma dovendo certificarla hanno rappresentato esattamente il contrario in termini ovest-est della vera scoperta delle Americhe, lasciando un meridiano che potesse far capire che non ci si riferiva ne a Firenze ne a Shahnaiguan Cina 40° Nord e 120° Est, ma al suo opposto e cioè a 40° Nord e 120° Ovest.
E se le cappelle fossero l’unica testimonianza della vera scoperta dell’America?
Certo gli storici hanno rifiutato l’ipotesi che sia Zheng Heil vero scopritore dell’America, sempre che di scoperta si possa parlare dato che su quelle terre vivevano dei popoli.
Come potrebbe essere altrimenti? Riscrivere la storia è sempre sconveniente perchè vengono fuori interessanti verità per taluni scomode. E se le cappelle fiorentine fossero la prova che gli storici negano che esista?
Ovviamente un’ipotesi, ma… Magari Colombo è arrivato nel 1492 “sapendo” dove andava!
(N.d.R) Questo articolo è frutto del tentativo di capire il perchè si è realizzato opere apparentemente prive di significato ma che invece celano sicuramente un segreto; al tempo stesso proporre una soluzione al segreto che sarà certamente confutabile, ma al pari di tutte le altre ipotesi.
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Recensione: WETEK.Hub, il TV Box compatto per lo streaming video in salotto
Quando si guarda il WETEK.hub, si capisce immediatamente che si ha a che fare con un prodotto premium. La confezione è molto ben curata, sia per il design che in termini qualitativi, e all'interno si trovano tantissimi accessori. Di norma i TV Box vengono forniti con telecomando e alimentatore, qui abbiamo anche un cavo HDMI, una serie di adattatori per le principali prese, un cavo seriale, un extender per gli infrarossi ed un biadesivo per installarlo in verticale dietro il TV.
La seconda cosa che colpisce sono le dimensioni lillipuziane del box: un quadrato di 7 cm di lato, spesso soltanto 2. Si è guadagnato la palma del più compatto sul mercato e non non c'è nessun altro in grado di rivaleggiare. Ancor più impressionante è la qualità costruttiva, perché a tenerlo in mano se ne avvertono la robusta consistenza ed il peso. Il telecomando è gradevole e possiede un layout dei controlli ben pensato, ma la plastica di cui è composto è un po' leggera e non è all'altezza del box secondo me.
Frontalmente si trova un LED invisibile, nel senso che è annegato all'interno della scocca semi-trasparente e si vede solo quando acceso. È di colore blu durante l'attività e rosso quando in stand-by. Sul lato sinistro abbiamo l'unica porta USB (2.0) di cui è dotato l'hub, le due per l'extender degli infrarossi e la seriale (utilizzata per debug), lo slot a pressione per la microSD ed un'antenna per il segnale wireless. L'hub supporta il Wi-Fi ac a doppia banda, per cui non c'è davvero di cui lamentarsi, e possiede anche il Bluetooth integrato e di semplice configurazione dal menu principale.
Sul retro abbiamo l'uscita HDMI 2, che supporta 4K fino a 60Hz, e la porta Gigabit Ethernet per chi volesse maggiore velocità e stabilità nell'accesso alla rete. Viste le dimensioni così compatte, è facile nascondere il WETEK.hub dietro il TV, situazione in cui ritornerà molto utile il ripetitore IR.
Da quando possiedo questo box il software è cambiato moltissimo, infatti il mese scorso è stato rilasciato un launcher completamente diverso e più moderno con WeOS 2. Il vecchio non era affatto male, ma questo è più ricco ed in linea con i dettami di Android TV. In cima si trova una specie di status bar, con orario, meteo ed altre indicazioni sulla destra, ed un menu hamburger sulla sinistra.
Da notare che alla prima accensione si viene accolti da un wizard molto semplice ed esteticamente curato, il quale ci consente di ottenere un setup già operativo in pochi istanti. Inoltre nella fascia superiore, dove il sistema propone le ultime novità in vista in stile Android TV, si trovano anche una serie di video guide sull'uso dell'interfaccia. Qualcosa che farà sicuramente piacere ai neofiti.
Il telecomando non possiede ahimè un giroscopio, cosa che alla lunga potrà creare problemi. Con una Android TV "pura" si nota di meno, ma questa è concepita in modo tale da far funzionare qualsiasi app grazie a PlayStore ed Aptoide preinstallati, e verrà spesso indicata la necessità di un mouse. Si può simulare con i tasti freccia (dopo aver premuto quello con l'icona del mouse), ma la reattività, velocità e precisione lasciano a desiderare. L'ideale è dotarsi di una mini tastiera con trackpad o un telecomando con giroscopio.
Il menu hamburger, a sinistra del nome Weetek, fornisce rapido accesso alle funzionalità primarie, come la rete o il bluetooth, mentre l'ultima voce consente di aprire il menu principale. La CPU è una AMLogic S905-H quad-core con GPU penta-core Mali MP450, mentre la RAM ammonta a 1GB e la memoria interna ad 8GB (di tipo eMMC). Si capisce subito che il WETEK.hub non nasce per giocare ai titoli più impegnativi (dove 2GB di RAM servono), ma un po' di casual gaming ce lo si può concedere, sia in 2D che 3D se la grafica è semplice. Il suo punto forte è da ricercare nella riproduzione audio e video, ambito in cui vanta prestazioni molto buone.
Riesce a riprodurre con una buona fluidità filmati in 4K a 10bit, avendo anche un'interessante funzionalità di frame rate variabile, il quale viene adattato a seconda della sorgente (con diverse opzioni a scelta dell'utente). Inoltre supporta audio DTS e Dolby Audio, cose che difficilmente troviamo nei TV Box di pari fascia. Molto comoda anche la possibilità nativa di montare dei percorsi di rete all'avvio, così si può configurare in modo più flessibile il WEPlayer, che altro non è che una versione di Kodi. Questa è l'app che consente di sfruttare al meglio le potenzialità del prodotto, ma ovviamente si può installare anche Plex, VLC ed altro. Per quanto riguarda i servizi di streaming, da segnalare che YouTube ha la comoda interfaccia di Android TV ma si ferma al 1080p. Netflix, invece, che spesso va in SD su questi TV Box, arriva all'HD sul WETEK.hub, che non sarà il 4K ma è sempre un vantaggio rispetto molta concorrenza.
Tra le utili funzionalità integrate, vi è anche quella di AirPlay e Google Cast, ma con la prima ho avuto spesso problemi. Diciamo che mediamente funziona, ma non baserei l'acquisto su questa. Altra cosa da considerare è che il software è molto gradevole, offrendo una godibile via di mezzo tra Android TV ed un launcher in stile box cinesi, con una bella interfaccia e tantissime funzioni. Questo viene anche ben seguito in termini di aggiornamenti, ma in tutti i casi la stabilità non è il suo forte. Proprio ieri ho dovuto effettuare un reset completo perché si era appesantito al punto da ingolfarsi dopo soli 5 minuti dal riavvio.
Conclusione
Nel complesso il WETEK.hub è uno dei più interessanti TV Box se si cerca principalmente lo streaming audio/video, ma sul conto pesano sia la sua eccellente cura progettuale che l'incredibile compattezza. Costa 99€ su Amazon, e non sono pochi, ma la differenza rispetto prodotti dal prezzo inferiore è ben percepibile fin da quando si apre la sua scatola. Il fatto che non sia adatto al gaming non lo considero un problema quanto piuttosto una scelta, ma 2GB di RAM avrebbero migliorato l'esperienza d'uso a tutto tondo. L'unico vero limite che ho riscontrato è la non perfetta ottimizzazione del nuovo WeOS 2, che è sì molto bello e completo, ma ha la fastidiosa tendenza a rallentare in breve tempo ed ha presentare qualche bug che causa riavvii. Per questo motivo non riesco a dare 4 stelle piene, ma con un software più stabile non esiterei ad arrivare a 4,5.
PRO Ottima qualità costruttiva del box Struttura compatta pensata per essere nascosta (adesivo + prolunga infrarossi) Telecomando abbastanza razionale Frequenti update Google Play Store + Aptoide Supporto per frame rate variabili Buone prestazioni nella riproduzione video fino al 4K Supporta audio DTS e Dolby Audio Interfaccia molto gradevole Ottima dotazione di connessioni: Gigabit + Wi-Fi ac dual-band
CONTRO Telecomando non molto robusto Solo 1GB di RAM: non è adatto al gaming Una sola porta USB (se ci mettete un ricevitore per tastiera rimane solo la microSD) Il software tende a rallentare dopo poco tempo Con l'introduzione di WeOS 2.0 sono arrivati anche un po' di bug
DA CONSIDERARE Nel telecomando manca il giroscopio per muovere più comodamente il puntatore
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